Le Foibe e gli altri eccidi messi da parte

È trascorsa da poco la "Giornata della Memoria" e siamo alla "Giornata del Ricordo", domani. C'è un rapporto, tra le due celebrazioni? Ed esauriscono, insieme, il nostro bisogno e dovere di ricordare? E chi poi dovrebbe ricordare che cosa? E a quale scopo? Mi ponevo queste domande domenica. All'uscita dalla mia chiesa un gruppo di suorine faceva la questua per una loro casa di riposo, dove ospitano anziani del tutto poveri. Queste religiose vivono della carità pubblica. C'è tanta gente, oggi, anche nel nostro felice e ricco Occidente, che tira avanti male: e molti si mostrano seccati se qualcuno lo ricorda loro. Qualcuno ha detto che due giorni "del ricordo" o "della memoria", a ruota, sono troppi. Al contrario: credo siano troppo pochi. Questo non è un mondo che ricorda troppo. È un mondo di smemorati, spesso della peggiore specie: quella di chi non ricorda perché non vuol ricordare. E che ricorda solo ciò che gli conviene, e quando non costa fatica. E magari ricorda qualcosa per nasconderne qualche altra.   Il 10 febbraio si ricordano le foibe istriane, i 350.000 italiani esuli, le migliaia di persone del tutto innocenti scaraventate nelle voragini carsiche e lasciate a morire spesso senza nemmeno la "carità" di una sventagliata di mitra ad accorciarne l'agonìa. Sono storie nostre: del nostro tempo, della nostra gente. Ma io sono del '40: abbastanza vecchio per ricordarmi bene di un tempo nel quale non si parlava nemmeno della shoah. Delle foibe, poi, manco a pronunziarle: o erano una menzogna, o c'era sì qualcosa di vero, ma si era trattato di regolamenti di conti contro i "fascisti". E fascista era chi insisteva su quel tema. Ho sott'occhio il volume IV della Enciclopedia Europea, uscito nel '77. Fiore all'occhiello, laico e lungimirante, di quel raffinatissimo uomo di cultura ch'era Livio Garzanti. Vi collaboravo anch'io. Ebbene, al volume che raccoglie la voci da Delacroix a Fozio, sulle foibe non c'è una riga. E non era certo una pubblicazione "comunista". Oggi che delle foibe si può, anzi si deve parlare (il "dovere della memoria"!) dovrei essere contento. Ebbene: non lo sono granché. Ho vissuto anche in prima persona - ho qualche amico politico, che a suo tempo mi ha chiesto consigli - l'instaurazione delle due giornate, "memoria" e "ricordo". Ne parlai anche a lungo con l'amico Furio Colombo, promotore del disegno di legge relativo alla prima. Ho l'impressione che le intenzioni iniziali di chi ha voluto queste due celebrazioni siano state tradite: e non involontariamente. Qualcuno ha creduto che in fondo si trattasse della solita tecnica: un colpo al cerchio, uno alla botte. Ricordo la shoah e così faccio piacere alla sinistra, ricordo le foibe così è contenta anche la destra. E' un parere ripugnante: ma più diffuso di quanto non si pensi. Invece il discorso è un altro. Rileggetevi la nobilissima requisitoria conclusiva del procuratore generale dei processi di Norimberga: essi non dovevano servire solo a punire i responsabili delle atrocità naziste, ma a impedire che esse potessero in qualche modo ripetersi. Ebbene: questa seconda parte di quel nobile programma è fallita. Da allora, la terra ha continuato a rigurgitare di vittime innocenti e d'insaziabili carnefici: e non alludo solo a Pol Pot. Alludo alle vittime delle "guerre democratiche", quelle "del fuoco amico" e dei "danni collaterali"; alludo a chi ancora oggi, da Tijuana in Messico a Belfast in Irlanda a Melilla in Marocco a Gaza in Palestina, vive ghettizzato dietro un muro e viene ammazzato se cerca di evadere. Alludo ai bambini che dall'Africa centrale ad Haiti muoiono di povertà, di mancanza di cure mediche, di carenza di cibo e d'acqua, di Aids. I morti di Auschwitz e quelli delle foibe non possiamo più averli con noi. Credo sia necessario far in modo di non dimenticarli. Ma il modo migliore per onorare il ricordo sarebbe fermare i massacri presenti e futuri. Anche quelli che in apparenza non hanno responsabili: perché egoismo, disinformazione, pigrizia, possono essere assassini peggiori di un carnefice armato. La memoria è necessaria: non è sufficiente. Quel che resta ancora da fare è uscire dal cerchio della complicità passiva, disinformata e incurante, ai massacri di oggi.