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La regola di Scorsese: "Mi fido solo di Leo"

Leonardo Di Caprio

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«Poche regole, sperimentazione, tanta fiducia»: muove le mani, si sistema gli occhiali, gesticola ampiamente Martin Scorsese, mostro sacro del cinema mondiale, quando spiega il suo rapporto con l'amico Leonardo DiCaprio. E Scorsese sarà sì un mostro sacro ma quando parla di se stesso si considera un artigiano del cinema che ha ancora molto da imparare. Il regista di «Taxi driver», «Toro scatenato» e «The Departed» ha appena finito di girare «Shutter Island», thriller noir da palpitazioni con DiCaprio che sarà presentato tra qualche giorno al Festival di Berlino e arriverà sugli schermi italiani il 5 marzo.   Il film è tratto dal bestseller omonimo di Dennis Lehane, autore anche di «Mystic River», ed è tutto girato in un manicomio criminale. Nel cast Ben Kingsley e Max Von Sydow. Le scenografie sono del premio Oscar Dante Ferretti. Dopo un quarantennio di cinema e un Oscar Scorsese sembra avere molti dubbi e poche certezze. E una delle sue certezze si chiama Leonardo DiCaprio, ex idolo delle ragazzine, divenuto l'immagine perfetta della violenza e della follia «made in Martin». «Dopo quattro film con Leo il nostro rapporto è arrivato ad una fiducia profonda - spiega Scorsese - Ha avuto inizio con "The Aviator" (ma già i due avevano lavorato assieme in "Gangs of New York") ed è maturato con "The Departed". Con Leo la sensazione è sempre di poter toccare i livelli più elevati dell'emotività narrativa. Sono rimasto sorpreso dall'intensità raggiunta insieme. Lavorare con Leo è una grande ispirazione perché tutta l'esperienza professionale la incanala in una sua forma di creatività. La speranza è di continuare, e chissà che insieme non si raggiungano ancora altri livelli sperimentali delle emozioni». Incredibile! A sentirlo sembra che tra lui, Scorsese (67 anni e un carrierone alle spalle), e DiCaprio (che rischiava di affondare con il Titanic), il maestro sia DiCaprio. Comunque il trentacinquenne è apparso al regista l'interprete ideale di questo suo ultimo film. «Sono rimasto subito attratto dal materiale, ero in sintonia con quella storia, con quell'ambiente, con quel senso di paura e paranoia che mi ha accompagnato in quegli anni in cui è ambientato il film», i Cinquanta. E poi salda un conto di riconoscenza con il cinema europeo. «C'è sempre stata un'influenza del cinema tedesco nel mio background, soprattutto nella mia formazione. Non a caso, prima di girare, ho fatto vedere al cast "Laura", di Otto Preminger, del 1944 e "Le catene della colpa" (1947) di Jacques Tourneur)». Nel carattere di questo personaggio, prosegue il regista di «Mean Streets», «c'è un percorso legato alla sofferenza, che sfocia nella violenza. Questo mi fa pensare a chi siamo noi come esseri umani». A chi gli chiede qual è la sua paura oggi, risponde: «Paura? Convivo con la paura quotidianamente. Bisogna convivere con la paura, senza vivere nella paura. Ma questo è il mondo che andranno a ereditare i miei figli. E la cosa mi preoccupa molto».  

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