Di Caprio-Scorsese a Roma per "Shutter Island"

{{IMG_SX}}"Credo che i grandi personaggi che Martin Scorsese ha saputo meglio rappresentare sono quelli violenti. Violenti per un dolore interiore che viene esteriorizzato all'esterno. I suoi migliori personaggi sono quelli che mi facevano capire qual è la natura umana più profonda. E in Shutter Island ho fatto i conti col personaggio più complesso, più dark, più violento della mia carriera. Ma è stato un onore farlo con Scorsese". È una dichiarazione totale di stima, quello di Leonardo Di Caprio verso il regista Martin Scorsese, con cui all'Hotel Hassler, ha presentato il film "Shutter Island", la loro quarta collaborazione cinematografica insieme. Cresciuto, con un aspetto più maturo, liberato da quell'aura di adolescenza imberbe che si portava dietro e che l'aveva reso l'idolo delle ragazzine, Leonardo Di Caprio, nel suo completo blu elegante e i capelli tirati indietro, racconta il suo personaggio, l'investigatore Teddy Daniels, chiamato a investigare la scomparsa di una donna in un manicomio criminale a Shutter Island a largo di Boston, negli anni '50, per poi precipitare in un viaggio psicologico nel senso più cupo della violenza e della tragedia, con un finale tutto a sorpresa. Di Caprio parla di cosa l'ha intrigato di questo film e del personaggio. "Senza svelare nulla del finale, il ruolo ha una dualità, e io ho cercato di sperimentare gli estremi del suo comportamento. Il film è un mix di generi, tra il thriller psicologico e l'horror gotico, ma il senso della perdita, del trauma, della tragedia, di fare i conti col dolore e la sofferenza diventano protagonisti. Per interpretarlo, mi sono preparo molto, ho visto documentari sulla malattia mentale". "Dopo quattro film il rapporto con Leo si è tramutato in una fiducia profonda. Ha avuto inizio con The Aviator ed è maturato con The Departed. Con Leo la sensazione era sempre di poter toccare i livelli più elevati del'emotività narrativa. Sono rimasto sorpreso dall'intensità raggiunta insieme. Lavorare con Leo è una grande ispirazione perché tutta l'esperienza professionale lui la incanala in una sua forma di creatività. La speranza è di continuare, e chissà che insieme non si raggiungano ancora altri livelli sperimentali delle emozioni".  Così Martin Scorsese all'hotel Hassler per il film-evento dell'anno, che arriverà dopo mille difficoltà nelle sale il 5 marzo, dopo essere passato ufficialmente al festival di Berlino. La trama del film, che indaga i meandri della psicologia umana fomentati dalla violenza e dalla sofferenza, è la forza del film, molto piaciuto alla critica. "È un film basato su un romanzo di Dennis Lehane, che è anche l'autore di Mystic River - racconta Scorsese - Sono rimasto subito attratto dal materiale, ero in sintonia con quella storia, con quell'ambiente, con quel senso di paura e paranoia che mi ha accompagnato in quegli anni in cui è ambientato. E ancora oggi ho sospetti verso chi detiene il potere. E questo si riflette nelle scelte che faccio al livello lavorativo". E se la critica gioca a citare le atmosfere dark e d'un noir visionario alla Fritz Lang e Sam Fuller, Scorsese replica: "C'è sempre stata un'influenza del cinema tedesco nel mio background, soprattutto nella mia formazione". Entrando nello specifico del personaggio, l'investigatore Teddy Daniels, Scorsese dice: "Nella natura del personaggio c'è un percorso legato alla sofferenza, che sfocia nella violenza. Questo mi fa pensare a chi siamo noi come esseri umani, a quanto c'è di violento in noi, fino a che punto la violenza può essere eliminata e lo scotto per essere violenti nel mondo". E se gli si chiede qual è la sua paura oggi, risponde il regista: "Paura? Convivo con la paura quotidianamente. Bisogna conviverci con la paura ma non vivere nella paura. Ma questo è il mondo che andranno a ereditare i miei figli e la cosa mi preoccupa molto".