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Padri cinici

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ILFIGLIO PIÙ PICCOLO, di Pupi Avati, con Christian De Sica, Laura Morante, Luca Zingaretti, Nicola Nocella, Italia, 2010. Pupi Avati e la famiglia. Se n'è occupato varie volte nel corso della sua felice, quarantennale carriera. Di recente, ne «La cena per farli conoscere», cronaca semiseria ma finissima di tre figlie, nate ciascuna da una madre diversa, che si impegnano a risolvere i problemi di un padre, attore televisivo di scarso successo, arrivato a tentare il suicidio dopo un intervento di plastica facciale mal riuscito. Appena ieri ne «Il papà di Giovanna», dramma sinistro di un padre incapace di far fronte ai disagi esistenziali e a un certo punto pericolosamente morbosi di una figlia bruttina delusa in amore. Adesso, arrivato al suo quarantesimo film (Auguri!), ci racconta di una famiglia totalmente inserita nelle cronache, tutte negative, dell'oggi. Comincia però descrivendocela sedici anni fa, a Bologna quando un padre, con due figli piccoli, si accinge a un matrimonio riparatore con la loro mamma, di cui però, scomparendo subito dopo, carpisce i pochi beni immobili che le appartenevano. Eccolo alle date attuali. Con quel denaro praticamente sottratto alla moglie, tenera e ingenua che ha continuato ad amarlo, guidato da un losco commercialista, si è costruita a Roma una vera fortuna nel campo dell'immobiliare, frodando sempre la legge anche con abusi gravissimi. Così, quando i nodi verranno al pettine e si fa avanti addirittura la minaccia di un arresto, con i debiti che si accumulano da ogni parte, lui sempre cinicamente consigliato dal commercialista, escogita la soluzione addirittura perfida di convocare a Roma il suo «figlio più piccolo» e di intestargli tutto perché è più ingenuo di sua madre e persino più di sua madre devoto a quel padre che non ha più rivisto e che li ha lasciati in miseria... Avati, lavorando di fino attorno a questo appunto, ha costruito una vicenda animata da personaggi studiati a tutto tondo in ogni dettaglio, qua dando spazi netti e decisioni ai molti «cattivi», alcuni, come il protagonista e il suo consigliere, scavati fin negli abissi più neri. Là, i pochissimi «buoni», la madre e il figlio più piccolo, facendone con sottigliezza ma anche con calore dei veri e propri campioni di sprovveduta innocenza, pronti, ancora una volta, ad assumere quietamente le parti delle vittime. In mezzo, la fauna che si muove malvagia tra i meandri dell'affarismo di oggi, evitando però le polemiche dirette, con accenti invece che enunciano senza commentare, in gironi via via sempre più torvi. I buoni e i cattivi, comunque, e così i complici di questi secondi, non sono mai né macchiette né caricature, sono persone vere che, al massimo riecheggiano certe figure delle nostre commedie «civili» dei Sessanta. Calate però, adesso nella più fosca attualità Al dramma, ad ogni modo, si accompagna, quasi tenera, l'emozione, puntando abilmente, per suscitarla, sulle reazioni e il carattere di quel figlio più piccolo cui toccano attraverso l'azione i momenti più raccolti. Lo interpreta, con partecipazione sincera, un quasi esordiente, Nicola Nocella, che sembra nato per il ruolo. Di fronte a lui la grande trovata di Avati, Christian De Sica nei panni del protagonista. Una recitazione sfumata, citando però più Ugo Tognazzi in ruoli simili che non Vittorio, il suo grande papà. La perfidia, il cinismo, quasi l'abiezione, ma anche, tra le pieghe della mimica, il disagio, se non addirittura il rimorso nei confronti di un figlio così dedito. Lo assecondano alla pari Luca Zingaretti, il commercialista, Laura Morante, la moglie. Entrambi son tratti incisi. Da citare anche, la bella fotografia che, come sempre, è di Pasquale Rachiti, e le musiche spesso addirittura coinvolgenti di Riz Ortolani, fra i tanti pregi di uno dei film più suggestivi di Avati.

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