A Berlino gli italiani rilanciano l'amore
Sei i film italiani che partecipano nelle varie sezioni al prossimo Festival di Berlino (11 - 21 febbraio). Mentre Francesca Comencini (foto) farà parte (con Renèe Zellweger) della giuria internazionale del concorso presieduta da Werner Herzog. E al regista Pupi Avati sarà dedicato uno degli omaggi del Trailers FilmFest in the World (nato con l'obiettivo di promuovere il forte legame che esiste tra cinema italiano e cibo) che sbarca al 60mo Festival del Cinema. Il direttore Dieter Kosslick ha dato grande visibilità al nostro cinema. Così, a Berlino, Soldini racconta l'amore proibito tra due amanti che devono fare i conti anche con la loro famiglia. Guadagnino mette invece a fuoco l'ipocrisia della ricca borghesia milanese, senza però condannarla. E Ozpetek sbarca in Puglia per far riemergere i racconti di una famiglia nella quale un figlio omosessuale deve confrontarsi con una realtà tradizionale. Ma perché i registi italiani amano raccontare i sentimenti e le dinamiche familiari? Per la regista (e giurata) Francesca Comencini «quella cinematografia italiana che descrive i sentimenti e la famiglia in modo eccellente è la parte più visibile del nostro cinema. In realtà, i nostri registi realizzano anche belle opere basate sul realismo e sulla Storia: penso a "Vincere" di Marco Bellocchio che ha avuto all'estero delle critiche molto positive, mentre da noi non è stato ben accolto. Direi che l'identità del cinema italiano si rispecchia nella diversità, anche dei sentimenti. Il mio è, ad esempio, un cinema di denuncia e d'impegno, che comunque parla anche di sentimenti. In Italia c'è una lunga e forte tradizione artistica legata all'amore e alle dinamiche della famiglia. Una famiglia che oggi non è però più quella convenzionale. All'estero, la nostra cinematografia non è percepita nello stesso modo in cui è vista in Italia. E, forse, è questo uno dei motivi per cui agli Oscar non siamo passati. Ma non essere scelti in concorso ad un festival, come quello di Berlino, non basta per decretare la morte del cinema italiano. Esiste una sorta di turnover, per cui un anno viene preferita la cinematografia di un Paese a quella di un altro. È nelle regole del gioco. Sarebbe invece importante che i poteri forti, in Italia, decidessero una buona volta di considerare la cultura, e quindi il cinema, come un elemento fondamentale della nostra società. Come accade in Francia». Anche per Ozpetek i sentimenti sono stati sempre al centro del suo cinema. Stavolta racconta «il ritorno a casa dalla grande città di Tommaso, gay». Il sentimento che predomina è? «il bisogno di ridere, anche quando ci sarebbe da piangere. Vorrei saper toccare la stessa profonda leggerezza del grande Germi. Sono in un momento della vita, appena compiuti i 50 anni, in cui lo sguardo cambia. Si fanno conti molto seri, perché si è cominciato a perdere persone care. Ma si sente anche la necessità di cogliere i motivi umoristici. Dolore e ridere del dolore». Per Avati, persino il cibo si lega alla convivialità tutta italiana dello stare insieme: «Nell'Italia dalla quale provengo la tavola era una delle prime cose che venivano offerte a chi giungeva da fuori. Il cibo e il dormire, gli elementi essenziali per la sopravvivenza. Inevitabile che l'elemento cibo fosse considerato in molti dei miei film. Gli alimenti raccontano le psicologie dei personaggi, il livello sociale e culturale, anche se ora, in tempo di omologazione, forse tutto questo si è appiattito».