Musei del Vaticano
CarmineMastroianni Città del Vaticano. È già buio quando dall'ingresso dei Musei pontifici in Viale Vaticano escono, infreddoliti, gli ultimi visitatori. Ad accogliermi è il professor Antonio Paolucci, il direttore, per un giro in solitaria nel più vertiginoso scrigno di tesori del mondo. Professor Paolucci cosa ci svela sui Musei che dirige? «Svelare non è il verbo appropriato. Ci sarebbero infinite cose da "svelare", ma ciò richiederebbe tempi assai lunghi e non basterebbe un articolo a contenerle». E allora? «A volte basta osservare bene lì dove ogni giorno gli occhi di migliaia di turisti e, persino di studiosi, restano misteriosamente chiusi. Quasi ci fosse dell'invisibile». Cosa c'è al Vaticano di "invisibile" oltre al divino? «Partiamo da un dato prettamente storico. Nell'anno appena trascorso è stata celebrata la ricorrenza degli 80 anni dalla firma dei Patti Lateranensi». Era il febbraio del 1929. «Sì, ma in pochi hanno sottolineato il fatto che in quello stesso anno nei Musei Vaticani c'è stato il passaggio dall'Antico Regime alla Modernità. Pio XI Ratti, il "gran lombardo", paragonabile solamente ai grandi sovrani della Chiesa del XVII e XIX secolo, spalancò al mondo le porte di quelle che erano state fino ad allora le "collezioni private" del papa-re. E ne seguì un'attività tanto frenetica che nell'ottobre del 1932 portava all'inaugurazione della Pinacoteca realizzata da Luca Beltrami e, meno di tre mesi dopo, all'apertura al pubblico del monumentale ingresso ai Musei sul viale Vaticano. Cose note, mi dirà, eppure misconosciute». Ma ci sarà qualcosa di questi Musei che deve essere ancora scoperto? «Resterò in tema per "svelarle" qualcosa di assai prezioso. Vede c'è una statua di bronzo straordinariamente bella pur nella sua semplicità. Nessun Michelangelo o Leonardo! Fu donata nel 1970 dallo scultore cinese Den Fet-Ma a papa Montini. È l'effige di una giovane donna che allatta un bambino. Essa rimase nello studio del papa fino alla sua morte per poi essere collocata fra le primizie del settore Asia nel Museo Missionario Etnologico del Vaticano». Ci racconti la storia di questo museo nel museo. «Dice bene, i Vaticani sono tanti musei in uno. Il Missionario Etnologico fu voluto Motu proprio nel 1926 dal citato papa Ratti. Esso doveva essere l'ideale prolungamento dell'Esposizione Missionaria Mondiale dell'Anno Santo del 1925. "Un libro sempre aperto" scriveva Pio XI, un tempio delle radici dell'umanità innalzato perché esse non siano disperse dalla furia distruttrice della modernità, ma resistano per servire da base di dialogo con tutti i popoli della Terra». Alcune primizie nascoste in questa vasta collezione? «Ecco la replica della Croce custodita nella cattedrale di Pechino - Nanchino e distrutta dai maoisti. Al centro non c'è la figura di Gesù, come ci si aspetterebbe, ma un fiore di loto, in Cina il simbolo assoluto della vita. Oppure il Crocefisso della Nuova Guinea. Il perizoma che avvolge i fianchi di Cristo fu aggiunto solamente dopo il suo arrivo in Vaticano nel 1939. La nudità era e resta sconveniente nell'Occidente cristiano, mentre è una consuetudine in quelle lontane culture. Insomma non solo il Laocoonte e la Cappella Sistina, ma capolavori e storie che attendono di essere "svelate" dall'occhio attento del visitatore».