Lidia Lombardi UDINE Percoto chiama Barquisimeto.
ErmannoOlmi imposta la prova d'orchestra. Splendida inquadratura per la sua macchina da presa. Perché oggi, nel capannone con gli alambicchi che è il sancta sanctorum dei grappaioli Nonino, cantano le Mani Bianche made in Friuli. Quaranta ragazzi italiani replicano quello che avviene nel Paese di Chavez, il dittatore proletario, il demagogo dei diseredati. Dove c'è povertà, lotta sociale, delinquenza, è nato un miracolo che si perpetua sotto ogni governo. Il coro delle Manos Blancas, i ragazzi che cantano con le mani. Che dondolano nelle note, che materializzano melodie muovendo palmo e dita infilate in guanti candidi. Un gruppo composto da giovani sordomuti e autistici, o in carrozzella, o con altre ferite del corpo. Con loro, quelli senza handicap. Ci sono ragazzi poveri e meno. E ragazzi strappati alla strada e figli di mamma. A vivere nella musica, a vivere bene, li hanno preparati due musicisti. Lui clarinettista, lei pianista, lui 48 anni, lei 42. Marito e moglie, e questa missione cominciata quindici anni fa. Si chiamano Johnny Gomez e Naybeth Garcia. A loro e alle Manos Blancas va quest'anno il Nonino Risit d'Aur. E Giannola Nonino - la lady della grappa che s'è inventata trentacinque anni fa il Premio dalle scelte più coraggiose - oggi ha voluto che Gomez e Garcia facessero a Percoto quello che fanno in Venezuela. Perché Manos Blancas, perché guanti bianchi? «Perché il focus è sul linguaggio dei segni. Perché si rompe la barriera tra chi ha un handicap e chi no. Tutti con i guanti bianchi, tutti uguali», spiegano a Il Tempo Johnny e Naybeth. Ripercorrono con l'entusiasmo degli occhi le tappe della sfida. «Il nostro guru è Antonio Abreu, l'autore della più grande rivoluzione attuata in Venezuela. Lui, economista, organista, intellettuale. Fu portato a guidare il dicastero della Cultura da un altro grande umanista, Arturo Uslar Pietri. Un trascinatore, Abreu, anche ora che ha 70 anni. Decise che la musica non dovesse essere per l'élite, ma che dovesse entrare nella scuola. Cominciò 36 anni fa. Però non si trattava di insegnare ai piccoli come si suona uno strumento. Si doveva metterli dentro un'orchestra. Non la solitudine dell'esercizio ma la coralità dell'esperienza. Nella quale tutti sono uguali». È nata così l'Orchestra Giovanile Simon Bolivar, che porta il miracolo Abreu in tutto il mondo. E dietro alla quale ci sono, in Venezuela, 150 orchestre giovanili e 40 infantili, insomma 250 mila adolescenti. «Dentro questo progetto abbiamo agito noi - spiegano Gomez e Garcia - Per sfatare il pregiudizio che non può suonare chi ha una menomazione. Abbiamo dimostrato che non solo i ciechi, ma i sordi, i sordomuti, e tutti gli altri che chiamiamo bambini speciali, possono riuscirci. L'80 per cento non hanno risorse economiche, altri hanno provato il carcere minorile. Ce l'abbiamo fatta. Ne siamo stati convinti quando il direttore del Museo Beethoven, in Germania, ha sistemato, tra i cimeli dell'autore dell'Inno alla Gioia, un guantino bianco». Come vengono da voi i bambini? Chavez ha fatto dell'istruzione uno dei perni ai quali agganciare il consenso. «Ce li portano i genitori e in questo caso il presidente si incanala in un programma consolidato. La musica occupa i loro pomeriggi, dal lunedì al sabato. A scuola, dopo il pranzo, si riuniscono nei nucleos, i locali riservati al Sistema delle Orchestre». Quanto costa allo Stato? «40 milioni di euro l'anno, come un vostro teatro lirico. Nessun governo ha mai fatto mancare i fondi. Il Sistema ha anche sfondato a Boston e a Los Angeles, con Dudamel, il pupillo del Maestro Abbado». Già, Claudio Abbado, che passa l'inverno da voi. «Ascoltare la Simon Bolivar è l'esperienza più indimenticabile», ha detto. «Venne a Caracas, gli suonarono l'Ave Maria di Ruther e Alma Llanera, il secondo inno del nostro Paese». E per voi due qual è stata la più grande soddisfazione? «Vedere sul podio Jessica, una ragazza con sordità profonda, che ora ha 17 anni e che era approdata dieci anni prima a Barquisimeto. Sotto la sua bacchetta è risuonato l'ultimo movimento di una sinfonia. Ha confidato: per la prima volta ho sentito gli archi e ho compreso davvero Beethoven».