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Cinema, Hollywood rilancia l'horror "Mostri contro il terrore della guerra"

Benicio del Toro, protagonista di Wolfman

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Nel corso dei millenni, si è sempre subito il fascino del mitologico licantropo, un essere umano con l'anormale capacità di trasformarsi in lupo mannaro con la luna piena. Dai miti dell'antica Grecia ai documenti di Gervase di Tilbury del 1212, storie spaventose sui lupi mannari hanno dominato per secoli le leggende di tutto il mondo. Ma solo negli ultimi 70 anni questa creatura è comparsa sul grande schermo. E il film di culto «L'uomo lupo» (1941) di George Waggner ha decretato il successo del mito cinematografico del licantropo. A riproporre il remake di questa pellicola (con risvolti psicanalitici) è oggi, l'attore portoricano Benicio Del Toro che ha prodotto e interpretato «Wolfman» (dal 19 febbraio nelle sale distribuito da Uip). La storia è quella di Lawrence Talbot (Del Toro), con l'infanzia segnata dalla visione della violenta morte della madre tra le braccia del padre (Anthony Hopkins). Dopo anni persi a dimenticare quella tragedia, Talbot riceve notizie da sua cognata (Emily Blunt) che lo rintraccia per ritrovare il marito misteriosamente scomparso. Talbot torna così nel villaggio vittoriano di Blackmoor, dove un mostro uccide gli abitanti.   A cacciarlo, oltre a un ispettore (Hugo Weaving), c'è anche Talbot che cerca di distruggere il mostro ma, dopo essere stato morso dalla bestia, da uomo normale con un passato tormentato, scoprirà una parte primitiva di sé. Una parte di cui non avrebbe mai immaginato l'esistenza. Del Toro, c'è un grande interesse per i monster movie, tra vampiri, fantasmi e licantropi, come lo spiega? «L'interesse per film di mistero e per quelli di orrore continuerà finché non scopriremo cosa c'è dopo la morte, nell'adilà. Da quando esiste il cinema sono sempre andati di moda, a momenti alterni, i monster movie. Zombie, vampiri, fantasmi, saranno sempre popolari perché coinvolgono il nostro inconscio e quello che non possiamo conoscere, di noi e del mondo. Il ritorno a questo genere non mi stupisce. Ma qualcosa è mutato: prima i mostri erano vulnerabili, potevano essere uccisi con particolari accorgimenti. Poi, dagli anni '70 sono diventati immortali, tornano sempre come nella serie di "Nightmare". Oggi, hanno anche una coscienza, una parte umana con la quale si può comunicare e che li rende ancora più terrificanti. È la parte oscura che ognuno di noi ha». Ci sono periodi storici e sociali nei quali il pubblico è più rapito dalla paura dei mostri? «Esistono parti malate della società. Mio nonno nei difficili anni Trenta andava pazzo per Frankenstein. Poi c'è stato il terrore del nazismo, negli anni '70 c'erano le tensioni sociali e oggi c'è la paura del terrorismo. L'influenza di questi revival può derivare dalla paura della guerra in Medio Oriente. Forse i film horror esorcizzano il terrore. Io vidi "Dracula" di Bela Lugosi a 8 anni, ero terrorizzato e da allora sono un fan di monster-movie».   Lei di cosa ha paura? «Di confessare le mie paure, di scoprire qualcosa di incontrollabile in me». Come si sta nei panni di un licantropo? «Benissimo, soprattutto quando a vestirti e a truccarti sono dei premi Oscar come Milena Canonero e Rick Baker». Le piace lavorare a Hollywood? «È il luogo dell'industria, ma anche quello in cui i creativi s'incontrano, una sorta di officina, come la Cinecittà di Fellini».  

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