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Napoli sogna col lirico più antico d'Europa

Il maestro Riccardo Muti

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È il momento dell'orgoglio napoletano. Il Teatro San Carlo, Patrimonio dell'Umanità per l'Unesco, torna a nuova vita. Nel senso proprio del termine. È finita, e a tempo di record, l'impresa del restauro architettonico e pittorico. I frutti si vedranno domani sera, in una con l'inaugurazione della stagione lirica del Teatro, fregiata da «La clemenza di Tito» di Mozart diretta sul podio da Jeffrey Tate. Un evento. E il Presidente della Repubblica ha annunciato che ci sarà. È, dovrebbe essere, il momento dell'orgoglio di ogni napoletano, che nella gloria del San Carlo avverte anche la propria. Quasi una promozione personale: te ne accorgi vedendo – nel teatro vuoto – un giovane col grembiule nero che spolvera gli angoli più nascosti del corrimano del foyer o gli specchi delle più piccole salette di disimpegno. Sul restauro del San Carlo ha scommesso la Regione Campania, presidente Bassolino, stanziando 67 milioni di euro. E ha contato la volontà del Commissario Straordinario Salvatore Nastasi, che ha messo in moto uno staff di restauratori specializzati sotto la guida dell'architetto Elisabetta Fabbri. In due anni – da agosto a dicembre 2008 e poi da luglio a dicembre 2009 – una squadra di 300 operai ha lavorato notte e giorno, con tre turni lavorativi al dì, compiendo l'impresa in tempi da record. Questo gioiello, voluto da Carlo I di Borbone nel 1737, è il più antico ancora attivo oggi in Europa. Qui giunse Mozart adolescente, ospitò en première opere di Rossini, Donizetti, Verdi, vide direttori d'orchestra da Toscanini a Strauss, da Stravinskij ad Abbado ed a Jeffrey Tate (dal 2005). Nel tempo si sono avvicendati tanti restauri parziali specie dopo l'incendio del 1816. Ora il restyling completo. Sono stati recuperati 4000 metri quadrati di spazi inutilizzati: sotto la platea è stato realizzato un Ridotto, nel sottotetto sono nate due sale-prova per orchestra, coro e regìa. Una già si chiama Sala Ronconi, perché il regista – impegnato per «La Clemenza di Tito» – se ne è innamorato per l'acustica perfetta (verificata da Riccardo Muti) e perché, avendo il medesimo perimetro del palcoscenico, magicamente salda il rapporto cantante-regista. Ma il capolavoro tecnologico dell'intervento di restauro sta nel «ventre» del palcoscenico: esso ospita macchinari enormi creati per questo spazio. In un'altezza di 30 metri si muovono lentissimamente con la massima precisione. Ecco allora che il San Carlo si pone al livello di quelli esteri più tecnologizzati, europei e non: anche la vecchia sala-prove per il Ballo, dal soffitto ormai troppo basso, ha una nuova copertura ad arcate di legno lamellare ignifugo, che alle scosse risponde col sistema boomerang. Tecnologia e rispetto per l'antico. Il palcoscenico mantiene l'invaso e i decori d'epoca: superfici laccate, dorate (tutte restaurate), dalle 200 stelle e 270 fiocchi di cartapesta ai damaschi e velluti di palchi e poltrone di platea, tutti sostituiti, fino alla tela (di canapa) di Giuseppe Cammarano che riveste il soffitto del teatro con lo stemma dei Borboni al centro, consolidata con 5000 iniezioni di collante. Ed il rinnovato sipario di velluto? Una illuminazione ad hoc ne esalta il denso color sangue, l'indimenticato carattere barocco delle origini.

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