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Accorsi attore di classe

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Unocosì sta divorziando mentre la moglie si è già messa con un altro, un altro ha un pessimo rapporto con la moglie aggravato da una sua ossessiva gelosia, un altro ancora quando suo figlio aveva appena un anno se n'è andato lontano, finendo addirittura in prigione, e ora sua moglie si è legata a uno dei cinque che però soggiace a forti depressioni, vive di farmaci e sembra sempre alle soglie di terribili crisi. Muccino, con equilibrio sicuro fra le cronaca e il dramma, ci fa seguire da vicino, quasi dal di dentro, tutte queste storie. Segna con forti sfumature i vari caratteri, andando a fondo tra le loro pieghe, alterna con saldo impatto narrativo le situazioni che via via li hanno al centro e in più momenti spinge intenzionalmente fino al diapason dell'esasperazione i tanti scontri in cui i singoli personaggi vengono coinvolti, specie nell'ambito delle controversie di coppia. Ora tenendo saldamente in primo piano i rapporti d'amicizia, se pur con contrasti, ora privilegiando quelli sentimentali con accenti che, pur accettando note romantiche, riesce sempre a mantenere asciutti e risentiti, anche nelle pagine più inclini all'emozione. In una Roma, ora solo quotidiana ora anche architettonica, ma senza compiacimenti, che sa farsi sempre cornice quieta a quei drammi anche i più laceranti. Vi danno colore e calore non solo la canzone di Jovannotti con cui si conclude (come quella di Carmen Consoli ne «L'ultimo bacio»), ma molte altre, cantate anche da Mina, da Jacques Brel, da Ornella Vanoni, felicemente coordinate dalle musiche di Paolo Buonvino. Fra i pregi, l'interpretazione. Stefano Accorsi, che è sempre Carlo, si impone con classe e autorità, ben affiancato da Vittoria Puccini, la moglie, e da tutti gli altri amici, da Pierfrancesco Favino, a Claudio Santamaria, a Giorgio Pasotti, a Marco Cocci. Più maturati e sicuri, anche artisticamente, rispetto all'altro film.

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