L'incanto della campagna nei colori del Grand Tour
«Il paesaggio è magnifico: non è una pianura piatta, la vegetazione è rigogliosa e il panorama qua e là mostra il rudere di un acquedotto o di antiche tombe, che imprimono alla campagna romana un carattere di grandezza veramente incomparabile». Nessuno meglio di Stendhal, nel 1827, ha tracciato in poche righe tutta l'immensa suggestione esercitata dalla campagna romana sugli artisti, soprattutto stranieri, fin dal Seicento ma particolarmente nell'Ottocento. Ed è questo il tema della mostra «La Campagna Romana dai Bamboccianti alla Scuola Romana», curata da Clemente Marigliani in collaborazione con Comunicare Organizzando di Alessandro Nicosia e aperta al pubblico da sabato al Vittoriano. Centotrenta opere di novanta artisti diversi danno un'idea abbastanza chiara del rapimento estatico provato da artisti e intellettuali durante il Grand Tour di fronte all'ineguagliabile connubio di bellezze artistiche e naturali offerto dalla campagna romana. Si parte così, in una sezione incentrata soprattutto su Roma, dal Seicento con il realismo popolare dei Bamboccianti e delle loro vivaci scene di colore. E si prosegue con le rovine e i capricci architettonici solcati da figurine guizzanti di Hubert Robert, senza dimenticare le osterie romane dipinte da Bartolomeo Pinelli. Le opere più belle sono poi quelle di Nino Costa («Nettuno visto da Anzio», 1855-60) e dei XXV della Campagna Romana, gruppo di artisti nato nel 1904 col proposito di rinnovare la pittura di paesaggio «dal vero»: da Ettore Ferrari a Giulio Aristide Sartorio, da Enrico Coleman a Onorato Carlandi. Piuttosto confusa e fuorviante è invece la sezione finale che riunisce sotto il termine di «Scuola Romana» artisti fin troppo diversi e inconciliabili. Pregevole appare comunque il «Porto di Anzio» di Giulio Turcato.