Gli ebrei più ebrei sono i romani più romani

Non esiste, in tutta la Penisola, una identità etnico-psicologica così forte come quella degli ebrei romani. Nessun ebreo italiano è tanto ebreo quanto lo sono gli ebrei romani. E nessun romano è così tanto romano quanto lo sono gli ebrei appartenenti alla Comunità Israelita della Città di Roma. Se non altro, per il solo fatto che, in questa città, ci abbiamo messo radici da 1940 anni: dal 70 d.C., quando l'imperatore Tito deportò gli ebrei che vennero trasferiti a Roma in stato legale di schiavitù. Da allora, gli ebrei romani, attraverso i secoli e i millenni, hanno vissuto nella zona attorno al Portico d'Ottavia, trasmettendo di figlio in figlio i valori tradizionali della propria etnia culturale, identificandosi sempre di più con la tradizione autoctona, figlia delle vestigia dell'Impero Romano. Il mio bisnonno insegnava il latino e il greco antico in una piccola scuola privata di proprietà del Vaticano, sistemata in Piazza delle Cinque Scole, dietro Via Arenula, nel centro della città. Il mio trisavolo, a metà dell'800, faceva il sarto: confezionava abiti per i cardinali di nuova nomina. Suo padre, Amedeo Di Cori, alla fine del '700 "venneva stracci" (come si dice a Roma). Allora, gli ebrei avevano il divieto pontificio di vendere abiti nuovi e potevano avere accesso al mercato soltanto vendendo abiti usati, si era diffusa l'abitudine di acquistare stoffe preziose in quel d'Olanda per poi lavorarle a Roma. Una volta finito l'abito, venivano fatti tre buchi, uno sulla spalla, uno intorno alla vita, uno sulla gamba. L'abito veniva presentato alle autorità che decretavano il capo di vestiario come "usato e inadatto alla vestizione d'uso pubblico formale perché forato in più parti: abilitato alla vendita nei negozi ebrei della città come stracci". Il mio antenato prendeva gli abiti con i buchi e li rammendava, rivendendoli poi nel resto d'Italia come nuovi. Con il trascorrere dei secoli, gli ebrei romani si sono solidificati, come identità, all'interno della città di Roma. Quando, alle 4.54 del 16 ottobre 1943, le truppe naziste penetrarono di sorpresa nel ghetto di Roma e deportarono gli ebrei romani nel campo di sterminio di Auschwitz, questa fortissima identità si spezzò. Fu una coltellata al cuore della città. Perché così venne vissuta e percepita da tutti i romani, nessuno escluso. La ferita emotiva di quella coltellata è rimasta sempre aperta. È per questo motivo che il 17 Gennaio del 2010 meriterebbe un posto particolare nella storia di questa città. Al di là dell'impatto politico e delle interpretazioni storiche, rimane ferma e solida la sostanza emotiva dell'evento: Papa Ratzinger ha avuto il coraggio di mettere il Suo Sacro Sigillo sulla ferita più dolorosa della città di Roma, assumendosi in proprio la responsabilità di avviare, da oggi, storicamente, un processo di cicatrizzazione per gli ebrei romani. Per quanto il culto della memoria ci spingerà sempre a ricordare ciò che allora avvenne, e a non dimenticare mai la piaga che rimarrà sempre aperta, la Città di Roma può "ufficialmente" considerare chiusa la tragica pagina aperta il 16 ottobre del 1943. In quanto città. Da oggi, gli ebrei romani sono meno soli. "Mai più antisemitismo", ha tuonato Papa Ratzinger dalla Sinagoga di Roma, coadiuvato dal Primo Cittadino Gianni Alemanno. Si apre, pertanto, dal 18 Gennaio 2010, la possibilità di poter iniziare un confronto sul problema dell'antisemitismo in questo paese; dibattito falsificato, nei decenni, dalla pressione delle ideologie. Sull'antisemitismo, la più attendibile argomentazione rimane quella proposta dal filosofo francese Jean Paul Sartre nel 1949: "La destra europea ha da sempre attaccato gli ebrei sulla loro identità, per il fatto di essere ebrei; in compenso, la sinistra, li ha da sempre attaccati per il fatto che gli ebrei si sentono ebrei". Per circa quarant'anni, in Italia, la sinistra democratica ha preteso ed esercitato un ruolo egemone sulla cosiddetta "questione ebraica" ritenendo di essere l'unico soggetto politico deputato a salvaguardare il diritto dei cittadini italiani di origine israelita ad essere considerati, e quindi rispettati, alla pari degli altri. Dopo il crollo del muro di Berlino, e il conseguente disfacimento dell'impero comunista sovietico, la destra italiana ha subito una mutazione genetica. Facendo appello alla migliore tradizione libertaria del pensiero conservatore, ha abbattuto l'opzione negativa sulla identità degli ebrei, riconoscendo loro il diritto di essere riconosciuti alla pari. Si è trattato di una autentica rivoluzione politica, poco pubblicizzata, ma reale nella sua sostanza. C'è più di una ragione per potersi sentire, a pieno diritto e a pieno titolo, orgogliosi di sentirsi italiani. La destra italiana ha chiarito, fino in fondo, la propria posizione rispetto alla realtà dell'antisemitismo in Italia. Non così la sinistra italiana. La frase di Jean Paul Sartre, rimane, ancora oggi, una impietosa condanna della mente imprigionata dal fango ideologico della guerra fredda. Come ebreo romano dal 19 gennaio 2010 posso dormire sonni tranquilli, dopo centinaia di anni. Per la prima volta sono sorretto da un riconoscimento forte, pubblico, istituzionale, del Santo Padre, del Presidente della Camera e del Sindaco della città, tutti insieme. Ma so, anche, che quando andrò a cena con dei vecchi amici della sinistra democratica, prima o poi, immancabilmente, ci sarà qualcuno che si rivolgerà a me, magari con garbo e gentilezza, e mi chiederà "Ma tu, perché ti senti ebreo?". È sempre avvenuto, e seguiterà ad avvenire. É una domanda alla quale non si può dare risposta. Perché dietro l'apparente semplicità di un simile quesito, si nasconde l'ottusità, il pregiudizio, la paura del diverso, tutti semi che producono la pianta malvagia dell'antisemitismo. È sul riconoscimento del "sentire" che si realizza la vittoria contro la faziosità antisemita. Proprio come ebbe a dire Jean Paul Sartre nel 1949. Oggi, il compito di rivedere le proprie posizioni e rileggere gli eventi sotto una nuova luce, fornendo garanzie civili che possano dimostrare di essere capaci di combattere contro la piaga dell'antisemitismo, spetta alla sinistra. Come ebreo romano, come cittadino italiano, come intellettuale, ancora oggi, nel 2010, rimango in attesa di un segnale, di una risposta che è da sempre latitante. Perché, cari concittadini e compatrioti della sinistra, a noi ebrei, ancora oggi, non ci riconoscete il diritto di sentirci ebrei?