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Un musical che non piacerebbe a Fellini

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Eppurelì la storia era abbastanza semplice da potersi riproporre senza difficoltà su uno schermo anche se invaso da canti e balli. «8 e 1/2», invece, il capolavoro di Fellini, con i suoi piani diversi, quello letterale e quello simbolico, con i suoi tanti echi realistici e insieme visionari che lo attraversavano, era un'opera così compiuta e poeticamente così chiusa in se stessa da accettare difficilmente una trasposizione. Bob Marshall che l'ha tentata dopo «Chicago» seguendo una trasposizione già affrontata in teatro, ha finito così per ridursi solo, e in modo stanco, al suo schema più immediato e esteriore, quello del regista che, alla vigilia di cominciare un film, si sente venir meno l'ispirazione, combattuto nel frattempo dalla difficoltà di conciliare con se stesso e fra loro le tante donne della sua vita, la moglie, l'amante, la musa e molte altre intorno. Certo, fra le pieghe e di sfondo, ha lasciato emergere - ma senza estro - alcuni spunti tipici del film originale, i ricordi d'infanzia anche, con incontri con la madre, i sogni sognati sia nel presente sia nel passato, spesso in bianco e nero, con qualche sosta su episodi secondari riferiti soprattutto agli impacci nel corso della preparazione del film poi interrotto, e a vari scorci dal vero di Roma e di altre località nei dintorni, non necessariamente quelle stesse immaginate da Fellini. Con un avvicendarsi non sempre ben ordinato di personaggi di primo e di secondo piano all'insegna però soprattutto dei conflitti sentimentali e coniugali del protagonista. Mentre molti di loro cantano e buona parte dell'azione ammiccando qua e là persino alle Folies Bergére, viene commentata da musiche che, anche quelle, pensando al film in cui erano magicamente firmate da Nino Rota, risultano scialbe se non addirittura sfocate. Una sola canzone, ma non per ragioni musicali, convince, quella che, in un clima in cui spira quasi da ogni parte la simpatia per l'italianità, ci dice «I Love Cinema Italiano». Resterebbero gli interpreti, ma Daniel Day-Lewis, se si pensa a Mastroianni in quella stessa parte, è addirittura incolore, Penélope Cruz, l'amante, sfoggia danze erotiche, meglio Marion Cotillard, la moglie e, forse, Nicole Kidman, la musa. Sophia Loren, come madre, canta da contralto ma si vede poco. Non chiedetemi adesso se tutto questo sarebbe piaciuto a Fellini. Vi direi di no.

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