Alle sette del mattino del 19 gennaio 1893 l'intendente di pubblica sicurezza procedette all'arresto del potente presidente della Banca Romana Bernardo Tanlongo e del cassiere Cesare Lazzaroni.
Era- come scrisse un fine e arguto diplomatico che si dilettava di storia, Pietro Gerbore, in una gustosa e sapida ricostruzione degli scandali bancari dell'Italia postunitaria - "un residuo di Roma papale": un personaggio popolare che si era fatto da sé, senza grandi studi alle spalle (aveva abbandonato la scuola a 13 anni), con qualche esperienza di spionaggio a favore dei francesi nel 1849, con un grande talento per gli affari e con frequentazioni politiche e amicizie di ogni colore. Il più grande scandalo finanziario e politico dell'Italia liberale venne allo scoperto così, in quella gelida mattina invernale. In realtà già da tempo covava sotto le ceneri. L'intero sistema bancario - e non solo la Banca Romana, che era uno degli istituti autorizzati a emettere cartamoneta intestata al Regno d'Italia - era in profonda crisi sia per le conseguenze della depressione del 1887-1888 sia per gli eccessivi e incontrollati investimenti nel settore edilizio, sia per la disinvolta gestione dei prestiti. Nel 1889 - era presidente del Consiglio Crispi mentre Giolitti guidava il dicastero del Tesoro - era stata disposta un'ispezione sulle banche di emissione che riscontrò gravi irregolarità nella gestione della Banca Romana. I risultati dell'inchiesta, che si era deciso a livello politico di non divulgare per non allarmare l'opinione pubblica, furono resi noti alla fine del 1892 dal deputato radicale Napoleone Colajanni. Scoppiò lo scandalo. Il nuovo presidente del Consiglio, Giolitti, creò subito una commissione amministrativa d'inchiesta, che il 18 gennaio 1893 presentò la sua relazione. Risultò che la Banca di Roma aveva messo in circolazione più di 60 milioni di lire oltre ai 135 consentiti e aveva stampato una serie duplicata di banconote per 40 milioni. Scattò subito l'arresto del presidente e del cassiere della Banca e fu avanzata una richiesta di autorizzazione a procedere contro il deputato Rocco De Zerbi che morì, però, poco dopo, probabilmente per suicidio. Il panico attraversò il paese anche se Giolitti, per cercare di contenerlo, annunciò che lo Stato avrebbe garantito tutti i biglietti in circolazione e presentò disegni di legge per il riordino integrale degli istituti di emissione e la creazione della Banca d'Italia che sarebbe entrata in funzione all'inizio dell'anno successivo come unico istituto di emissione. Fu questo, almeno e indirettamente, un effetto positivo dello scandalo. Le ripercussioni, peraltro, della vicenda non riguardarono soltanto il sistema economico. Furono anche politiche. Giolitti, che aveva inserito il nome del presidente della Banca Romana fra i senatori del Regno da nominare, fu costretto alle dimissioni. Dal carcere, Tanlongo rivelò di avere versato somme cospicue di denaro a parlamentari e presidenti del Consiglio e risultò, alla fine, che un bel numero di rappresentanti del popolo aveva usufruiti dei "prestiti" facili. Comunque, il processo penale a carico degli imputati si concluse senza condanne perché i giudici nella sentenza denunciarono la sparizione di documenti essenziali per provarne la colpevolezza. Si trattò, molto verosimilmente, di una sentenza tutta "politica" destinata a insabbiare lo scandalo e a salvare protagonisti di rilevo della vita pubblica del tempo. Una brutta storia, insomma. Ma istruttiva.