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Amore e sofferenza nel diario di Elkann

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«Caramamma, ci siamo amati per 50 anni con una grandissima passione. È stata dura, molto sofferta, ma tra noi c'era qualcosa di speciale. Cercherò di non deludere le tue aspettative, che non erano poche, lo so. Non sarà facile». È un passaggio di «Nonna Carla» (Bompiani, pag. 132) uno dei libri più intimi e raccolti di Alain Elkann che attraverso un diario racconta l'esperienza dolorosa della morte della madre Carla Ovazza, donna ebrea, colta e generosa che in gioventù conobbe le persecuzioni fasciste ma anche il doloroso rapimento a Torino, due mesi dopo le nozze di Alain con Margherita Agnelli. Perché il bisogno di scrivere di sua madre? «Nessun bisogno particolare, forse soltanto un caso. In famiglia parlavamo da tempo, con mio fratello, di come riunirci in occasione di questo decennale. Nel frattempo io, che scrivo a mano i miei appunti, gli articoli, i diari, ho deciso di fare ordine nei cassetti e ho ritrovato il diario che ho scritto durante la malattia di mia madre, cioè "Nonna Carla" e il testo più riflessivo sulla sua morte che è diventato la seconda parte del libro. Poi, in concomitanza con questa scoperta, sono andato a Tel Aviv e durante il viaggio ho pensato alla prima volta che ci andai con mia madre e allora ho scritto quella che è la terza parte, i dieci anni della sua mancanza...». Un racconto molto privato... «Vero, ma io credo che il privato di uno scrittore in realtà è pubblico. E così la mia storia diventa di tutti, uguale a quella vissuta da molti altri che si sono trovati ad affrontare l'agonia di una madre, la degenza, che hanno provato l'impotenza verso il malato, che hanno continuato a vivere mentre il malato è in rianimazione sempre più lontano da te». Un senso di smarrimento? «Mi rendevo conto di aver perso mia madre quando la vedevo distaccata, lontana, quando era in uno stato tra la vita e la morte, che non è ancora morte ma non è più vita. Il passaggio tra la vita e la morte è impressionante, è doloroso perdere un genitore, lascia un vuoto incolmabile». E qualche dubbio... «Sì, quello sull'accanimento terapeutico: il mio amico Montanelli si scagliava contro i medici, ma sinceramente io non ho sfiducia in loro». Un'esperienza che ha affrontato con suo fratello Giorgio? «L'abbiamo affrontata insieme ma in modo molto diverso: mio fratello voleva sapere tutto su cosa facevano i medici e su come reagivano gli organi di mia madre, invece io mi rifiutavo, non volevo sapere ma non certo per distacco ma per rispetto: mia madre per me era un'icona...» Ha il rimpianto di cose non dette a sua madre? «Rimpianto di non essere stato abbastanza gentile, affettuoso, di averla inutilmente fatta soffrire, di aver avuto litigi con lei come si hanno con una madre ma che potevano essere evitati. Non è vero rimpianto, credo sia un sentimento endemico in un rapporto amoroso come quello tra un figlio e una madre, un profondo rapporto d'amore durato 50 anni, lunghissimo, che ha avuto fasi diverse, ma sempre una grande storia d'amore. I genitori sono unici, la mamma è una sola, una donna speciale con la quale hai grande confidenza perché è tua madre, ma anche grande pudiore». E che nonna è stata Carla Ovazza? «Molto amata dai miei figli perché è stata una nonna molto attenta, buona, presente, una nonna per la quale i nipoti erano importanti e loro si ricordano di lei come una donna che contava molto nella loro vita». Suo fratello ha apprezzato il libro? «Penso gli sia piaciuto. Magari mio fratello avrebbe scritto un altro libro, perché per ogni figlio la madre è "sua madre"». La coraggiosa Carla Ovazza sarebbe contenta? «Con questo diario ho potuto raccontare mia madre attraverso i suoi ultimi momenti e sono certo che resterà qualcosa di lei. Dopo aver scritto "Il padre francese" dedicato a io padre, con questo libro è come se avessi assolto il mio compito di figlio scrittore». Cosa altro è rimasto di sua madre? «La sua casa c'è ancora, il suo giardino è fiorito, i nipoti sono grandi e i bambini che sono nati crescono: ecco, penso che la strada che mia madre aveva tracciato, la famiglia che lei aveva in mente c'è, questo suo desiderio è stato esaudito. I genitori così rimangono vicini. Quando muoiono i genitori se ne va la vita a monte ti rimane quella a valle, non c'è niente dietro di te, non hai più una catena di protezione. Tu diventi i tuoi genitori, tu sei l'unica memoria vivente e senza di te loro non hanno significato. Ecco "Nonna Carla" è per i miei figli ma soprattutto per i miei nipoti che non l'hanno conosciuta e con questa testimonianza continuerà a vivere».

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