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Azar Nafisi: «La mia lotta contro un regime che proibisce anche il rossetto»

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Prestospero di esserci anche fisicamente»: parola di Azar Nafisi, famosa scrittrice iraniana, autrice di «Leggere Lolita a Teheran», tradotto in 32 lingue, e di recente dell'autobiografia «Le cose che non ho detto», in un'intervista a Gioia. Dopo anni di censure e persecuzioni, la scrittrice - figlia del sindaco di Teheran ai tempi dello Scià e della prima deputata iraniana - si è rifugiata negli Usa, diventando una delle più autorevoli voci critiche della dittatura. Per Azar Nafisi, «quando non puoi mettere il rossetto, quando non puoi mostrare i capelli, quando non puoi ballare e cantare, allora la lotta non può essere solo politica. Stai lottando per essere quello che sei, per sviluppare la tua dignità di individuo». A suo avviso, la religione è «un'altra vittima dello Stato. L'Iran ha al suo interno molte differenti interpretazioni dell'Islam e di altri culti, ma i religiosi che non si allineano vengono perseguitati e incarcerati». Ritiene che il regime abbia torto quando parla di proteste isolate perchè «non sarebbero durate così a lungo coinvolgendo un numero enorme di persone nonostante una violenza sempre più brutale». E ritiene che Neda, la ragazza uccisa dalla polizia la scorsa estate, non sia «il simbolo di una lotta politica ma, semplicemente, un simbolo della vita». A chi osserva che in Iran manchi una vera leadership, replica: «La leadership è della società civile. Sono le persone che rischiano la vita manifestando che scelgono la linea». E infine, a una domanda su cosa può fare l'Occidente, risponde: «Ogni movimento ha bisogno di alleati. La democrazia in Iran conviene a tutti».

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