«L'eleganza del riccio» fa fatica sul grande schermo
Un'impresaperò non facile perché si trattava di un libro dai toni scopertamente letterari, senza veri appigli per lo spettacolo. Ambientato per intero in un vecchio palazzo di uno dei quartieri più esclusivi di Parigi, teneva soprattutto l'accento, privilegiando l'interiorità e il raccoglimento, su tre personaggi, la portinaia Renée, una donna di mezza età, vedova, scontrosa, per nulla attraente, Paloma, una bambina di otto anni appartenente a una famiglia ricca proprietaria di un appartamento nel palazzo, il pensionato giapponese Kakuro Ozu, lì trasferito da poco, elegante, raffinato, anche lui vedovo, solo e un po' enigmatico. I primi due personaggi celavano qualcosa: la portinaia, nonostante la sua disadorna apparenza, una vera passione per la letteratura, tanto da avere in guardiola quasi un'intera biblioteca e la bambina quello di uccidersi il giorno del suo compleanno. La passione della prima ce la illustravano i suoi pensieri, diffusi con finezza su molte pagine, il progetto suicida della seconda ce lo illustrava un suo diario, disseminato di riflessioni sottili. Mentre del vedovo giapponese non ci veniva abilmente spiegato nulla, neanche quando ci era mostrata una sua inattesa amicizia per Renée che poteva forse diventare amore. Tutto sospeso, quasi indiretto, con le sole illuminazioni fatte emergere dai pensieri della portinaia e dal diario della bambina. Poco, pochissimo per un racconto al cinema, anche se molto per la letteratura. Mona Achache, così, i pensieri dell'una si è limitata, qua e là, a lasciarli intuire, il diario dell'altra l'ha trasformato in filmini che lei tutto il giorno riprende senza commenti con una telecamera e in alcuni suoi disegni su un quaderno. Non abbastanza per far capir tutto, caratteri, svolte psicologiche, motivazioni dei gesti. Il film, comunque, anche chi non ha letto il romanzo lo può seguire almeno incuriosito, specie per le tante ombre che si lasciano pesare sull'azione. Convinto anche dagli interpreti, soprattutto da Josiane Balasko, ancora una volta imbruttita come in «Omicidio in paradiso». Qui, però, con una carica di umanità coinvolgente e sincera.