Verdone: io, melancomico in un'Italia senza etica
Ha lo sguardo malinconico e preoccupato Carlo Verdone nel presentare il suo ultimo film «Io, loro e Lara», dal 5 gennaio in 650 copie distribuite da Warner che lo ha anche prodotto. È una commedia diversa, coraggiosa, che parla di etica e cerca di mettere d'accordo italiani e immigrati in una sorta di grande concordia. Verdone dirige e interpreta il film nei panni di un prete missionario in Africa che torna a Roma in preda ad una crisi spirituale. E qui ritrova la sua famiglia disastrata. Il padre vedovo e play boy (Sergio Fiorentini), la sorella conservatrice ed ex rivoluzionaria (Anna Bonaiuto), il fratello broker e cocainomane (Marco Giallini), fino alla figlia della nuova compagna del padre (Laura Chiatti), ragazza madre, precaria nei sentimenti come nel lavoro, costretta a dividersi tra guida turistica al Colosseo e modella erotica per clienti sulla sua web cam. Verdone, questo forse è il suo film più malinconico anche se le risate non mancano. «È stato difficile ultimare la pellicola perché mio padre Mario stava male e poi è venuto a mancare. Gli ultimi giorni si arrabbiava quando andavo a trovarlo e mi diceva di non tornare altrimenti avrei sbagliato il film. Ogni volta che presento una mia commedia divento ansioso. C'era stato un patto di non belligeranza con Muccino, ma "Avatar", nelle sale dal 15 gennaio, mi ha costretto ad anticipare la mia uscita al cinema. E poi sono stufo di fare il solito borghese tradito, con le corna, che dice le parolacce. Forse, farò meno ridere, ma se avessi continuato a fare le stesse caratterizzazioni di prima non mi sarei più divertito». Perché interpretare proprio un prete? «Da alcuni della Cei mi sono arrivati i complimenti per come ho trattato il personaggio: è un uomo retto e vero. Ce ne sono tanti di sacerdoti come lui, che in maglione e camicia lavorano in periferie difficili come Casilino, Prenestino e Tuscolano. Non sono crociati dell'etica ma uomini che sanano le delusioni delle persone. Parlo e mi consiglio spesso con due amici preti, anche se certi dogmi non li condivido». Continuerà a fare film così coraggiosi? «Spero di sì. Etica è una parola di grande avanguardia nello schifo della vita di oggi, in una società dove tutto è amorale e dove abbiamo perso la civiltà». Nel film c'è anche una stoccata contro l'intolleranza e il razzismo? «Uno dei temi più importanti è di sicuro l'immigrazione. L'Italia è un Paese di diffidenti, il termine razzisti è troppo esagerato. Però abbiamo poche strutture di accoglienza che funzionano bene come accade in Francia, Inghilterra o Germania. Il messaggio finale del film che rivolgo a tutti è quello di sapersi accettare gli uni con gli altri». Lei esordì al cinema nel 1979, qual è il suo bilancio dopo 30 di carriera? «Sono stato fortunato. Sergio Leone si allontanò da me dopo "Bianco, rosso e verdone" perché incassò meno di "Un sacco bello". Devo tutto a Cecchi Gori che ebbe poi fiducia in me e mi fece fare "Borotalco"». Che ne pensa delle recenti polemiche sul cinepanettone? «Abbiamo un dedalo di leggi assurdo e non credo che il cinepanettone possa mai entrare nel circuito d'essai. De Sica dice che sono loro a sostenere tutto il cinema italiano, è una dichiarazione presuntuosa, tutti i film lo sostengono».