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Guareschi, l'umorista emiliano che si batteva per il Re e la Patria

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Nonho mai conosciuto Giovannino Guareschi, ma mi è capitato di incontrare un paio di volte i suoi figli, Alberto e Carlotta - universalmente noti come "Albertino" e "la Pasionaria" - e mi è bastato. Nel senso che attraverso loro ho "visto" papà, molto più di quanto non lo avessi "incontrato" nelle fotografie che lo immortalano con i suoi occhioni neri - un po' sorridenti e un po' malinconici -, i suoi baffi a manubrio "stile Stalin", la sua rustica camicia nazionalpopolare. Ho "visto" papà negli occhi di Carlotta e Alberto: il giornalista e l'umorista, l'emiliano e l'italiano, il soldato che si batte "per il Re e per la Patria" e l'internato nei "lager" tedeschi che "resiste" insieme ai commilitoni ("Non muoio neanche se mi ammazzano!") senza tirar fuori una sola parola d'odio per i suoi carcerieri, l'anticomunista viscerale così visceralmente umano e generoso da creare un "compagno" simpaticamente perbene come Peppone e il cattolico così appassionato, convinto e scomodo che il suo don Camillo risulta fieramente indigesto a clericali, marxisti e clericomarxisti, allacciati nei compromessi "storici" e magari anche in quelli "preistorici". Nelle facce dei figli, Alberto e Carlotta, ho visto papà e anche mamma Margherita, fedele per una vita a quel suo donchisciottesco consorte che preferì andare in carcere al tempo della famosa "querelle" con De Gasperi, piuttosto che piagnucolare per una "domanda di grazia". Quindi, da Alberto e da Carlotta, figli e testimoni di una vita nutrita di "educazione civica" tricolore e di valori che non si vergognano di proporsi come "eterni", non potevo non aspettarmi una biografia linda, pulita e scritta in un italiano dal sapore buono, come il pane di casa ("Giovannino, nostro babbo", Rizzoli, pp.442, euro 60). Un "documento", mi verrebbe da dire in bianco e nero, senza un goccio di retorica, ma pieno di gente "vera". Proprio come i bei film con al centro il mondo piccolo e grande della Bassa, che la tv continua a riproporre con successo, a dimostrazione che non tutto il Bel Paese è andato "a quel paese", tra "isole dei famosi" alla deriva, nonché "grandi fratelli" e variopinto parentado di "minus habentes". Insomma, viva Alberto e Carlotta che raccontano Giovannino! Portandoci in giro per Roncole, accogliendoci nella loro casa (l'"Incompiuta"), facendoci entrare in una dimensione quotidiana che era però, in qualche modo, "epica" e "mitica", visto che da essa prendevano corpo (e spirito) personaggi come il prete con le mani grosse come pale di mulino e il sindaco comunista, sì, ma non trinariciuto perché ideologie e slogan non riescono mai a inquinargli del tutto il cervello e alla fine prevale il buon senso. Viva Alberto e Carlotta che ci ricordano come Peppone e don Camillo - mirabilmente rappresentati e interiorizzati da Gino Cervi e Fernandel - non nascono dal nulla, ma hanno alle spalle la solida concretezza, la vita, gli ideali, le opere e i giorni del socialista Giovanni Faraboli, che, a modo suo, "battezzò" il Giovannino neonato, e quelli di don Lamberto Torricelli, arciprete di Marore, un tipo che diceva pane al pane e vino al vino, che all'occorrenza sapeva usar le mani e che dunque aveva la giusta confidenza con Cristo.

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