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«Vincent non era folle, ma rabbiosamente infelice»

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Guerri,lei si occupa di storia del '900. Perché van Gogh? Perché mi ha affascinato fin da ragazzo. Se c'era un quaderno con un suo dipinto, io lo compravo. La passione è continuata. L'ho inseguito ovunque, a Parigi, in Olanda. Da vent'anni mi occupo di lui. Ne ho scritto un romanzo, che ho lasciato nel cassetto perché non ne ero soddisfatto. Invece lo sono di questa biografia. Chi è per lei questo personaggio? Un martire involontario, perché avrebbe voluto una vita normale. Un genio che nessuno capì. Non avremmo pagato cento euro per un suo dipinto, se ce lo avesse offerto. Ora vale 80 milioni di dollari». Qual è il quadro che preferisce? Gli autoritratti, per l'esplorazione dell'animo. Se ne fece una ventina. E "Notte stellata". S'interroga sull'universo, ne fa scoperta visionaria e scientifica. Van Gogh e le donne. Visse 37 anni, ebbe il primo rapporto sessuale a 30. Non per l'aspetto sgraziato, ma per la sua fatica di vivere. Era pazzo? No. E neanche un santo laico. Era così preso dalla sua arte e così incompreso da essere sommerso da rabbia e infelicità. Ora c'è un'attenzione morbosa su di lui. Una sorta di risarcimento collettivo.Li. Lom.

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