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Intramontabile sex symbol dallo spirito tibetano

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Ameliadi Mira Nair, Usa 2009. Un film commovente quello di «Hachiko», dove la lentezza dei sentimenti prevale sui dialoghi (peraltro inesistenti). Hallstrome ha affrontato un percorso dai rimi tibetani, supportati solo dalle note del pianoforte e dagli sguardi dei due attori, l'uomo e il cane. Remake del film culto giapponese di Kôyama (1987), è a sua volta ispirato alla vera storia di Hachiko, cane di razza Akita colmo d'affetto per il suo padrone (Gere), tanto che ogni sera lo aspettava alla stazione. Fino al giorno in cui l'uomo non tornò più, ucciso da un attacco cardiaco. Ma il cane continuò ad aspettarlo per 9 anni. Il popolo del Sol Levante ha così amato la fedeltà di Hachiko che a Shibuya è stata persino realizzata una statua in bronzo del cane. Tutt'altro ruolo, e più adatto a quel sex symbol che nonostante l'età Gere riesce tuttora a rappresentare, affronta invece il divo in «Amelia». Qui, la regista indiana Mira Nair rievoca la vita dell'aviatrice Amelia Earhart, morta nel 1937 mentre tentava il giro del mondo a bordo del suo aereo. Amelia non fu però sola nel forgiare la propria icona femminile: George Putnam (Gere), sorta di talent scout ante-litteram con cui si sposò, contribuì a promuovere con abilità la sua figura di donna coraggiosa e determinata.

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