L'amazzone espressionista ha i colori della Werefkin

GabrieleSimongini «Tutto mi annoia nella vita reale, una fine, un limite a ogni cosa, e la mia anima ha sete d'infinito e d'eternità». In queste parole c'è per intero lo spirito irrequieto e fiammeggiante di Marianne Werefkin (1860-1938), artista russa coltissima e poliglotta (parlava sei lingue) che seppe guadagnarsi l'appellativo di «amazzone del Cavaliere Azzurro», il mitico gruppo d'avanguardia di Klee e Kandinsky. Una donna coraggiosa e anticonformista, dalla vita avventurosa e talvolta drammatica, nel cui percorso esistenziale e artistico si riflette tutto quell'incandescente connubio di simbolismo, spiritualismo, espressionismo, esoterismo della nuova arte votata all'emozione e alla necessità interiore. Lo si vede bene nella coinvolgente mostra che le viene dedicata fino al 14 febbraio dal Museo di Roma in Trastevere e curata da Mara Folini e Federica Pirani su progetto di Maria Paola Fornasiero. Figlia di un generale e di una pittrice d'icone di nobili origini, la Werefkin muove i suoi primi passi nell'ambito del realismo e per i suoi ritratti di gusto seicentesco si guadagna l'appellativo di «Rembrandt russo». A poco a poco, però, scopre i limiti della pittura naturalistica e insegue la «vita vera» dell'anima attraverso forme e colori liberati da qualsiasi verosimiglianza. Conosce un artista carismatico come Alexej Jawlensky e ne ammira il talento fino al punto di identificarlo con colui che rinnoverà il corso della storia. Per aiutarlo verso questo scopo, la Werefkin si annulla, rinuncia a essere artista per dieci anni e sceglie di diventare la musa del suo compagno di vita e di pittura, fra alti e bassi, compreso un umiliante rapporto a tre con la sua giovane governante. A Monaco di Baviera il suo «salotto rosa» diventa il centro ideale d'irradiazione del movimento avanguardistico da cui prenderà il volo Kandinsky. Ripresa la pittura con gli occhi pieni dei colori allucinati di Gauguin, Munch, Nolde, la Werefkin dà vita a tempere su carta visionarie, incandescenti, drammatiche, con una natura animata e vorticosa che domina l'uomo, spesso ridotto a un fantasma larvale condannato al dolore e alla fatica. Valga per tutte le 80 opere esposte il «Vortice d'amore», con una turbinosa tempesta di colori pullulanti che sta quasi per travolgere le fragili coppie di amanti.