La Traviata della discordia
Doveva essere un titolo tranquillo per chiudere il 2009. Tranquillo come si confà ad un capolavoro lirico popolare, ma al contempo anche ad un rodato allestimento quanto mai ricco di spunti e colorito (già applaudito al Teatro Costanzi un paio di anni fa) come quelli in genere firmati dal maestro delle scene Franco Zeffirelli. Invece questa produzione di fine anno è stata ribattezzata come «La Traviata della discordia» e non solo per la inelegante rissa in conferenza stampa (tra Zeffirelli e una agguerrita giornalista), riecheggiata persino sui giornali stranieri, ma anche per le clamorose dimissioni della designata Daniela Dessì, cui il regista ha preferito nel ruolo di Violetta il più giovane (e quindi per lui scenicamente più adeguato) soprano greco Mirtò Papatanasiu. Accadimento che pone sul tappeto la effettiva liceità del regista lirico di scegliere il cast vocale, tradizionalmente appannaggio del direttore d'orchestra in quanto legato piuttosto alle qualità vocali che a quelle fisiche degli interpreti. È però anche vero che oggi come oggi (con i criteri di cinema e televisione imperanti) l'immagine reclama i suoi diritti e non si possono più incolpevolmente vedere in scena, come un tempo, soprani o tenori fisicamente inadeguati al ruolo interpretato. Ma secondo questo ragionamento allora il grande Pavarotti non avrebbe mai potuto incarnare un Nemorino o un Cavaradossi, un Calaf o un Duca di Mantova. Nel melodramma invece vige ormai da secoli la sottaciuta regola della finzione scenica (chi pensa ad esempio che davvero Butterfly debba essere una quindicenne autentica?). Si instaura difatti una sorta di complicità sottintesa tra l'autore (e implicitamente con lui anche i responsabili dell' allestimento scenico) ed il pubblico che finge di credere alla finzione, illudendosi che il tale soprano sia davvero pro tempore quel certo personaggio. Un'illusione in cui – magia del teatro - chi crede e chi «inganna» sono perfettamente d'accordo. All'Opera, per restare però alla pura cronaca della serata, la Papatanasiu è stata comunque una Violetta del tutto apprezzabile sia vocalmente che scenicamente (per altro aveva già interpretato il secondo cast nell'edizione zeffirelliana precedente). Accanto a lei, nell'opera di Giuseppe Verdi, lo spagnolo Antonio Gandia, debuttante a Roma, un Alfredo impulsivo e appassionato. A completare i principali ruoli vocali l'esperienza di Carlo Guelfi come papà Germont, elegante e formale, ma anche partecipe e commosso. Sul podio la garanzia di Gianluigi Gelmetti che ha diretto con la sua inveterata perizia la splendida partitura con attenzione alla verità drammatica e psicologica del plot, mentre gli aristocratici ambienti erano traboccanti di tendaggi e broccati, letti e divani, comparse e coristi. Più oleografiche forse le danze spagnolesche di Vassiliev.