Il ritorno di Pappagone
È una commedia fitta di equivoci e di situazioni imprevedibili, una sorta di farsa dai ritmi scoppiettanti, che, come tutte le opere di questo tipo, richiede l'efficienza di tempi incalzanti e perfetti e la duttilità di una professionalità agguerrita. Come quella di Angela Pagano, attrice cresciuta anch'essa alla grande scuola di Eduardo, che, contagiata dall'entusiasmo di Carlo Giuffrè, unanimemente considerato a sua volta l'autentico erede del grande drammaturgo, si affianca a lui a costituire la coppia vincente di questo «I casi sono due», in scena al Teatro Quirino da domani fino al 10 gennaio. Un testo peraltro che l'attore napoletano, autore anche della regia del presente allestimento, aveva affrontato per la prima volta nel 1981, ricevendone in cambio l'ammirazione entusiasta di Federico Fellini, tornato per ben tre volte a vederlo. E che ora egli riporta sulla scena all'interno di un progetto di restauro del repertorio comico napoletano dell'otto-novecento. Un patrimonio prezioso e inesauribile in cui a buon diritto s'inserisce la vena briosa della vicenda intrecciata dalla penna di Armando Curcio.Dove un'aristocratica coppia, giunta in età avanzata senza la gioia di un figlio ed erede, si scopre tanto afflitta da questa mancanza da affidare a un investigatore il compito di rintracciare il figlio nato da una lontana relazione prematrimoniale del barone con una cantante. Un figlio di cui il vecchio, ipocondriaco e afflitto da mille malattie, ha perso da sempre ogni traccia ma che in realtà gli vive accanto svolgendo nella sua stessa casa le umili mansioni di cuoco. E che, promosso a un'insperata situazione di nobiltà, non tarderà a imperversare su tutti con l'albagia vessatoria di una natura rozza e priva di ogni raffinatezza. Segnando la commedia con un ruolo di istintività vitalissima e grottesca che non a caso fu ripreso da Peppino De Filippo per il suo Pappagone. E che si inserisce come elemento scatenante all'interno di un meccanismo comico di inarrestabile effervescenza e di esilarante assurdità. Pronto a mutarsi in questa nuova messinscena, sostenuta peraltro dalle scene di Aldo Terlizzi e dalle musiche di Francesco Giuffrè, figlio di Carlo, in una ulteriore prova della qualità artistica dei suoi interpreti.