Giannini: al cinema servono più favole
Attore poliedrico, multiforme e febbrile, abituato a mille travestimenti, ma anche caratterizzato da una maschera di uomo segnato dal tormento, che non gli impedisce però di stabilire con tutti un ponte di feeling e simpatia, Giancarlo Giannini non lesina ironia né modestia. Come solo i grandi talenti sanno fare. Dopo una nomination all'Oscar, una Palma d'oro al Festival di Cannes, sei David di Donatello e una miriade di riconoscimenti minori, Giannini ha ricevuto martedì sera il premio alla carriera del Roma Film Festival. Mentre dall'8 al 13 dicembre il cinema Trevi di Roma gli dedicherà una retrospettiva di pellicole con i suoi ruoli più significativi. Alla premiazione, accanto a lui, anche Lina Wertmuller, la regista che più di tutti lo ha lanciato sul grande schermo in film memorabili. Giannini, qual è stato il momento più bello condiviso con la Wertmuller? «Con Lina fin dall'inizio si è stabilito un rapporto di amicizia e collaborazione importante e duratura, da cui sono nate opere straordinarie, come "Mimì metallurgico ferito nell'onore" o "Film d'amore e d'anarchia". Per quest'ultimo, Lina aveva scritto una sceneggiatura bellissima, avremmo dovuto girare anche una parte in America, che però fu annullata. La musica scritta da Nino Rota fu apprezzata in tutto il mondo, in particolare da Francis Ford Coppola che avrebbe poi utilizzato il Maestro per il suo film "Il Padrino". Quando mi diedero la Palma d'oro non me l'aspettavo affatto e mi catapultai sulla croisette per riceverla». Lei ha doppiato tante star, come Pacino, Hoffmann, Nicholson e Depardieu, che effetto le fa dare la voce a tante celebrità? «Non credo che la somiglianza dell'attore con il personaggio aiuti nell'interpretazione. Anzi, più è lontano e meglio è. Quando mi chiama qualche regista per dirmi "guarda, tu saresti perfetto per quel ruolo", io mi preoccupo. La stessa cosa per me avviene con il doppiaggio». Non tutti sanno che lei si diletta in invenzioni: qual è quella che le ha dato più soddisfazioni? «Sono un perito elettronico oltre che un attore, un produttore e un regista. E molto spesso mi rinchiudo nel mio laboratorio come certi scienziati stravaganti per creare. Ho ideato tante cose, ma certo la più celebre è la giacca piena di gadget che Robin Williams indossa nel film di Barry Levinson "Toys"». Quanto è importante la fantasia nel cinema? «È l'elemento fondamentale. Il cinema è una grande magia e nella sua linfa vitale scorrono le favole della vita. Ma purtroppo in Italia, sempre più di frequente, si vedono solo storie ripetitive e prevedibili e, quando si cerca di fare un film diverso, sono guai. È proprio quello che sta capitando a me in questo periodo». Sta preparando un film da regista? «Sì, ma anche da produttore e attore. E non è facile girare tra il Canada, la Sicilia e Roma. Soprattutto è diventato difficilissimo lavorare in Italia, troppi problemi. Ma vado avanti lo stesso e ultimerò il film a fine gennaio. Il titolo provvisorio è "La rosa e il coniglio", il mio personaggio è la summa di tutti quelli che finora ho interpretato, ma è più innovativo e ironico degli altri. È un tassista che sbarca in America dove lavora trasportando i defunti e alla fine incontrerà l'amore. Con me recitano anche Murray Abraham e Silvia De Santis». Qualche sogno nel cassetto? «Vorrei fare un film con Sophia Loren e tornare a lavorare con Ridley Scott dopo "Hannibal Lecter": è un regista che ammiro molto, diverso da certi cineasti hollywoodiani ai quali ho detto no perché volevano sfruttarmi per fare solo ruoli da italiano del sud».