Herrausen, il mistero che cambiò l'Europa
{{IMG_SX}}A margine dell'eco delle celebrazioni per la caduta del Muro sta filtrando la sensazione che in quei cruciali mesi di vent'anni fa non tutto sia andato nella direzione "giusta". Solo una sensazione, e come tale indefinita. Un disagio che comunque si alimenta di alcune evidenze. Lo spettro di una nuova guerra fredda aleggia sempre nei rapporti tra Usa e Russia, nonostante i tentativi di distensione dell'attuale amministrazione statunitense. La "casa comune europea" stenta a decollare, e ai vertici delle istituzioni comunitarie (con procedure opache che poco hanno a che fare con la normale prassi democratica) sono stati scelti personaggi che molti autorevoli commentatori hanno definito quanto meno di "basso profilo". Come è potuto accadere che le aspettative che avevano accompagnato quell'autunno di speranza si siano realizzate solo in minima parte? Le cause sono state diverse, di natura sia politica che economica, ma forse un contributo negativo è rappresentato anche dalla morte violenta di uno dei protagonisti della riunificazione tedesca: Alfred Herrhausen, il presidente della Deutsche Bank. Herrhausen, amico di vecchia data e consigliere del cancelliere Kohl per l'economia, era nato il 30 gennaio 1930 ad Essen, nel cuore della Ruhr industriale; figlio di un ingegnere minerario, con un dottorato di ricerca in finanza conseguito nel 1955 all'università di Colonia mentre già lavorava alla Ruhrgas, Herrhausen era entrato, all'inizio del 1956, nella Vew, una delle principali aziende elettriche ed energetiche tedesche. Quattordici anni dopo, il suo ingresso alla Deutsche con la qualifica di vice consigliere d'amministrazione; poi, la rapida carriera che lo aveva portato ai vertici della banca. Herrhausen, banchiere, ma con una formazione da manager industriale, aveva una visione aperta e innovativa dei rapporti internazionali, e soprattutto perseguiva una strategia finanziaria che puntava a ridisegnare il ruolo della Germania riunificata, assegnandole una nuova centralità. Fu l'uomo che suscitò aspettative "kennediane" quando, pochi giorni prima di morire, consegnò al Wall Street Journal la sua Ostpolitik economica: la visione di una Germania "ponte" fra Est ed Ovest, dove la "sua" banca avrebbe giocato il ruolo di motore della riconversione industriale e del nuovo sviluppo democratico, nel presupposto che l'Est non dovesse essere terra di conquista. "Entro dieci anni", spiegò proprio al Wall Street Journal, voleva fare della "Germania Est il complesso tecnologicamente più avanzato d'Europa e il trampolino di lancio economico verso l'Est", sì che "Polonia, Ungheria, Cecoslovacchia, e anche la Bulgaria avranno un ruolo essenziale nello sviluppo europeo"; parlava anche di costruire linee ferroviarie veloci verso Mosca. Herrhausen confidò di essersi scontrato "contro massicce critiche" quando aveva proposto al Fondo Monetario e alla Banca Mondiale di concedere ai Paesi dell'Est usciti dal comunismo una moratoria di qualche anno sul debito, in modo da concentrare le risorse sulla ricostruzione piuttosto che sul pagamento dei ratei dei prestiti. Il 4 dicembre 1989 sarebbe dovuto essere a New York a perorare, davanti all'establishment finanziario, la fondazione di una banca per lo sviluppo a Varsavia che finanziasse la ricostruzione e l'integrazione dell'Est con l'Ovest europeo. Herrhausen non poté mai pronunciare quel discorso: la mattina del 30 novembre 1989 una bomba telecomandata fece sussultare Bad Homburg, ricco sobborgo di Francoforte, ed esplodere la sua auto blindata mentre usciva di casa. I suoi assassini ufficiali? La Rote Armee Fraktion (Raf), che firmò l'attentato. Ma questa pista si perde nei meandri di un'inchiesta che presenta molte lacune e contraddizioni: si è parlato di una nuova generazione di terroristi della Raf, ma nessuno dei tre sospetti successivamente finiti in mano alla giustizia è risultato colpevole. L'opera di Herrausen fu in qualche modo ripresa da Detlev Rohwedder, l'economista chiamato a dirigere la Treuhand, holding pubblica cui erano state conferite le vecchie fabbriche comuniste tedesco-orientali. Rohwedder sintetizzò in questo modo il programma d'azione di questa sorta di Iri tedesca: "Privilegiare una politica di risanamento rispetto alle privatizzazioni". Il suo obiettivo era quello di incanalare investimenti pubblici/privati in quelle industrie rammodernandole e lasciandole di proprietà pubblica finché non fossero state rigenerate per "far sì che la popolazione della Germania Est" superasse "al più presto la sua condizione d'inferiorità materiale". Rohwedder fece queste dichiarazioni al Frankfurte Allgemeine il 30 marzo 1991; nella notte del 1 aprile tre colpi sparati da un cecchino lo centrarono mentre, all'interno della propria abitazione a Duesseldorf, passava davanti a una finestra. Anche in questo caso fu la Raf a rivendicare questo attentato; ma a distanza di quasi vent'anni non esiste ancora una verità giudiziaria univocamente accertata.