La tensione del duello uomo-animale
Ilcacciatore ha ucciso, vent'anni prima della grandiosa sfida finale, la madre del camoscio. Rimasto solo, l'animale, con l'odore dell'uomo nelle narici, e la sorella che poco più tardi verrà uccisa a sua volta da un'aquila, imparerà a vivere sulle sue forze e a guidare il branco con insospettata regalità e longevità. Arriverà però la resa dei conti, quando tra il cacciatore e il re dei camosci, il confronto avrà il sapore di un evento da sempre atteso. Erri De Luca, il peso della farfalla è un peso leggero, innocuo, che però poggiato su un carico già troppo pesante fa vacillare tutto. È una storia di grandi forze che si incontrano, e si scontrano. Come nasce? «Durante il buon tempo estivo passato a scalare. Io penso che l'unica dote dello scrittore sia quella di saper ascoltare. Scalando incontro bestie e uomini, e ascolto». Nel libro si fanno avanti due solitudini, quella del camoscio e quella dell'uomo. A chi va la sua simpatia? «La mia simpatia umana va al camoscio, e la mia simpatia bestiale va all'uomo, a colui che affronta la natura con lealtà andando a cacciare nel regno dell'animale, in mezzo ai rischi e ai pericoli dell'ambiente. Gli uomini solitari si assomigliano tutti. Nel racconto la solitudine del cacciatore è un temperamento. Ma in genere il solitario è un renitente alla leva, colui che si sottrae al circuito delle relazioni e a quello economico. È un monaco laico. Uno che fa il minimo indispensabile». Ne «Il peso della farfalla» la natura manifesta tutta la sua forza, qual è l'elemento primo di questo potere? «La forza inesorabile che spinge avanti le generazioni. Bisogna sentire la bellezza della vita che fiorisce, e la misericordia per la vita che finisce. L'uomo è diverso dall'animale perché corre continuamente verso lo sfruttamento. Ma la ragione del nostro successo è anche la ragione della nostra disfatta».