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In occasione del decimo anniversario della «Lettera aperta agli artisti», stamattina Papa Ratzinger incontrerà nella cappella Sistina molti personaggi

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Oltrea registi come Matteo Garrone e Citto Maselli, attrici del livello di Piera Degli Esposti, Anna Proclemer e Pamela Villoresi, sarà presente all'incontro anche il regista polacco Krzysztof Zanussi. Brillante cineasta, intellettuale europeo, produttore, scrittore e docente universitario, Zanussi ha attraversato la storia dell'Europa, dal comunismo alla caduta del Muro di Berlino e oltre, testimoniando (al cinema o sui libri) il suo legame tra narrazione e fede. Zanussi, che senso dà a questo importante incontro con Papa Benedetto XVI? «Fin dagli albori della Cristianità, arte e Chiesa sono in sintonia: entrambe si rivolgono a temi invisibili di profonda spiritualità. È bello che questo incontro, già coltivato da Giovanni Paolo II, diventi sempre più presente nella nostra vita. Gli artisti si erano allontanati dal mondo ecclesiastico all'inizio del secolo scorso e il Vaticano è rimasto chiuso in se stesso fino ai Patti Lateranensi. Il legane tra arte e Chiesa è molto antico e da sempre va alla ricerca di un progetto migliore. Al di là di certe trasgressioni artistiche, il percorso spirituale è vivo sia nella Chiesa sia nell'arte. Proprio questo legame potrà favorire la realizzazione del grande Sogno Europeo. Finora esiste solo quello Americano ed è un peccato, perché l'Europa ancora non riesce ad articolare certi valori in modo solido e convincente: occorre lottare perché ciò accada». Lei ha pubblicato da Spirali «Tempo di morire» tra aneddoti e personaggi: quale tra questi ultimi ricorda in modo più significativo? «La mia non è un'autobiografia, ma era giunta l'ora di raccontare certe cose: la mia vita sotto il comunismo, la caduta del Muro di Berlino e tanti incontri importanti (Wojtyla, Andreotti e Fellini) perché, citando San Paolo era arrivato il momento in cui l'uomo vecchio doveva finire per far nascere l'uomo nuovo. La legge comunista andava contro il cittadino, completamente passivo di fronte al centralismo socialista, dove ciascuno aspettava ordini dell'alto, senza alcuna autostima. Tutto era fermo, in una sorta di centralismo democratico dove di democrazia non c'era però nemmeno l'ombra». Come ha vissuto il grande cambiamento e la caduta del Muro? «In Polonia abbiamo fatto il primo passo verso la disfatta del Muro, conseguenza finale di un percorso iniziato con le elezioni polacche nel giugno dell'89. In Polonia, abbiamo avuto la forza di credere nel cambiamento senza mai avere la certezza del futuro». Papa Wojtyla è presente nel suo libro come nel suo film «Da un Paese lontano»: quali emozioni le ha trasmesso? «Con i suoi viaggi ha dato il segnale evangelico verso la libertà, con i suoi appelli alla coscienza umana ha trasfuso coraggio alla gente. Sono felice che i cardinali e i teologi della Congregazione per le cause dei Santi, riunitisi l'altro ieri, abbiano approvato il decreto sulle virtù eroiche di Wojtyla. La sua causa di beatificazione va avanti e speriamo che sia celebrata l'anno prossimo». Cosa pensa della questione dei crocifissi che, secondo la sentenza europea, non dovrebbero essere appesi nelle scuole? «È un falso problema. Al di là della mia professione religiosa, rispetto i diritti della maggioranza che devono prevalere. Se in un Paese arabo accetto i simboli della religione islamica, allo stesso modo, i simboli cristiani devono essere accettati nei nostri Paesi». Come è nata l'idea del film «Revisited», presentato allo scorso Festival di Roma? «È stato un esperimento, ho fatto recitare gli attori dei miei film negli stessi personaggi di 40 anni prima, che sono invecchiati come gli stessi interpreti, in un affresco che coinvolge Storia, cinema e corso naturale delle cose».

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