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«Aveva una virtù: ignorava l'ambiguità Perciò oggi va letto»

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Tuttie quattro intellettuali del Sud e nell'area del progressismo. Erano gli anni '50: predominio dc, ma anche crisi della Sinistra, dopo i fatti d'Ungheria. E però noi tre propedevamo all'ottimismo, Leonardo no. Il sorriso era raro, la risata assente, in lui. Uno di poche parole. Ma distillate. Il risultato di un grande fervore mentale». Così Walter Pedullà, decano dei critici letterari. Professore, quanto vale ora Sciascia? Non lo inserirei nell'olimpo dei primi dieci autori italiani del secondo '900. Ma è gioco limitativo. Sciascia va letto, oggi, a 20 anni dalla morte. Perché non conosce l'ambiguità. Non svicola. Il suo linguaggio emette sentenze, lui è insieme poliziotto e giudice. Modello intellettuale raro rispetto all'opportunismo odierno. I suoi limiti. Insiti nei pregi. L'illumismo, nero è nero e bianco è bianco. Con esiti eccellenti nei romanzi, "Le parrocchie di Regalpetra", "Il giorno della civetta", "Todo modo". Meno soddisfacenti quando si irrigidiva su una tesi, nelle battaglie radicali, con asprezza immotivata. Non mi piacque il suo "Candido", e lo scrissi. Se ne ebbe a male? Ne fu sorpreso e un po' risentito. Ma non lo diede a vedere. Evocano Sciascia parlando di Saviano, o Camilleri... Lasciamoli ciascuno nel proprio alveo. Come paragonare chi ha scritto un libro con chi ne ha firmati 50?

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