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"Valenzi, comunista duro e puro capace di diventare mio amico"

Il sottosegretario alla presidenza del consiglio Gianni Letta

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Ho incontrato Maurizio Valenzi la prima volta in Senato. Io, ancora ragazzino, giornalista se non alle prime armi, ancora incerto e senza esperienza. Redattore di un giornale dichiaratamente - «visceralmente», si diceva allora - anticomunista. Lui comunista di quelli veri, una lunga militanza e un fortissimo impegno, famoso e autorevole, circondato da quell'aria di rispetto che gli veniva dagli anni della «svolta di Salerno», lui che aveva accolto Togliatti e che godeva della sua stima e della sua considerazione. Era forte, allora, la contrapposizione tra i due fronti in cui si divideva non solo la politica, ma la società, la gente, la vita. Non come oggi si ama raccontare, riscrivendo la storia con il senno di poi, interpretando i fatti di ieri con i giudizi di oggi e piegando le situazioni di allora a quello che è successo dopo. Allora, così diceva qualcuno, con i comunisti non si doveva neanche parlare.   Altro che dialogo! Al Senato ero andato per intervistarlo. Trovai una persona cortese e disponibile, persino affabile, anche con me che pure spendevo il nome di un giornale tenacemente avverso. Rispose alle mie domande e lo fece con naturalezza, senza ipocrisie e senza tradire il minimo fastidio. Poi, conclusa l'intervista, parlammo liberamente, con simpatia. Tornai al giornale e scandalizzai il mio direttore, Renato Angiolillo, dicendogli semplicemente: «Se tutti i comunisti sono come Valenzi…». Un dubbio che forse non voleva neppure sentire. L'ho ritrovato anni dopo, lui sindaco di Napoli, io ormai direttore di quel giornale, sempre anticomunista, anche se in maniera diversa e non più «viscerale». Un giorno, alla fine del 1980, mi chiamò preoccupato per quello che aveva sentito dal Presidente della Repubblica Pertini. Erano i giorni del terremoto dell'Irpinia. Pertini, arrivato sul luogo del disastro, aveva pronunciato quella famosa invettiva televisiva che è rimasta negli annali dei discorsi presidenziali. Una denuncia severa e forte contro l'inefficienza dei soccorsi, i ritardi, le lacune, le mancanze. Sull'onda della protesta popolare, chiese sdegnato l'accertamento immediato e rigoroso delle responsabilità e la punizione esemplare per i colpevoli. «Qui non si capisce neppure chi comanda! Perché non si è fatta la legge sulle emergenze? I responsabili devono pagare». Scrissi il giorno dopo su Il Tempo - unico giornale, manco a dirlo - che uno dei responsabili, il primo, era proprio Sandro Pertini. Presidente della Camera, aveva tollerato e, forse persino favorito, l'infinito balletto che, di mese in mese e di anno in anno, aveva portato all'eterno rinvio la discussione della legge sulle emergenze. Quel rinvio nasceva dal fatto che la legge assegnava ad un generale il comando di tutte le operazioni in caso di emergenza. Il Pci, allora fortemente antimilitarista, si opponeva e non è che… Pertini amasse tanto i militari! Meglio rinviare per cambiare, creando le condizioni perché responsabilità e comando passassero in capo ad altri. Perciò quel giorno il titolo de Il Tempo suonava presso a poco così: «Pertini chiede di punire i responsabili. Ma il primo responsabile è proprio Pertini». Chi ha conosciuto le sfuriate di quel presidente può forse immaginarne la reazione e supporre facilmente quello che successe quel giorno e nei giorni successivi. Per sei mesi si rifiutò persino di parlarmi. E Valenzi, preoccupato, si diede spontaneamente da fare per spiegare e chiarire con l'intento e la speranza di ristabilire un rapporto. Lui che per il terremoto aveva dato l'anima, battendosi per Napoli e per i napoletani come nessun altro, come ha più volte ricordato e testimoniato il mitico commissario di quel terremoto, l'onorevole Zamberletti: «In quei momenti conosci davvero un individuo e ne misuri il coraggio o la viltà, la competenza o la superficialità, la capacità di guidare gli altri o la mancanza di doti di comando.   In una città difficile come Napoli, nei giorni che seguirono le scosse di quel tragico novembre, Maurizio Valenzi si dimostrò uomo e sindaco straordinario. Seppe interpretare i bisogni dei suoi cittadini e guidarli con autorevolezza e mano ferma nel tunnel dell'emergenza verso la rinascita». Non cercò mai il consenso con atteggiamenti indulgenti o tentando di attribuire ad altri le responsabilità più importanti. Il suo carisma si alimentava della grande sensibilità umana che sempre dimostrava. Tutte cose di cui le cronache del mio giornale davano puntualmente conto. Valenzi ne era meravigliato e contento al tempo stesso, perché quel riconoscimento, che era doveroso ed oggettivo, veniva da un giornale che lui, non senza ragione, considerava fino a quel momento diversamente e che, comunque, aveva visto sempre sotto altra luce. E anche questo rese più facile e più assiduo il nostro rapporto, alimentato dalla reciproca simpatia che nel frattempo era nata. Fummo persino compagni in una dura polemica contro un costruttore senza scrupoli che finì in tribunale con gli inevitabili strascichi giudiziari. Un'avventura che rafforzò quel rapporto e quel sentimento. Lo stesso sentimento col quale il mio giornale seguì fino in fondo la sua esperienza di sindaco in un confronto che non fu mai aspro e prevenuto. E il nostro dialogo, sempre leale e costruttivo, si alimentava delle critiche come dei riconoscimenti, così come dovrebbe essere la regola di un giornalismo onesto. Ma anche della politica. Una regola che, comunque, dovrebbero sempre rispettare tutti quelli che sono investiti da pubbliche responsabilità. Proprio come era, e come sempre si comportò Maurizio Valenzi. Così l'ho conosciuto e così lo ricordo. Perché, come ha saggiamente sottolineato il Presidente Napolitano, «Valenzi seppe combinare una inesauribile passione politica, una incrollabile fermezza e coerenza di posizioni, con l'assenza di settarismo e di aggressività, col rispetto per le altrui posizioni, con lo spirito di apertura e di dialogo verso gli avversari non meno che verso gli alleati». Sì, è proprio questo, il Maurizio Valenzi che io ho conosciuto e frequentato, politicamente distante, ma umanamente aperto e disponibile all'amicizia.  

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