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"Altro che latin lover sono un uomo all'antica"

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Mario Biondi

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«Le donne svengono a sentirmi cantare? Beh, succede il contrario. Sono io a essermi innamorato tante volte...Amore, sì. Ma mica in senso biblico. A mia moglie non faccio sgarbi». Con quella voce un po' così, da sex and the city, Mario Biondi non ha fatto in tempo a sussurrare le prime note di «If», il cd uscito venerdì scorso, che ha già «prenotato» il quarto disco di platino, dando soddisfazione alla sua casa discografica, rigorosamente indipendente. «La mia etichetta ha aspettato tre anni e passa per questo disco, i dirigenti mi dicevano "ci costi troppo". L'altroieri, allo showcase di Milano, in tre ore abbiamo venduto 105 copie. Quasi non capisco». Con quella voce un po' così Mario Biondi - nato a Catania, cresciuto in Emilia, calata quasi settentrionale, monolingue inglese quando canta - se ne sta quieto nel week end nella sua porzione di bifamiliare sulle colline di Parma. I bambini - ne ha sei, una collezione da 13 anni a uno - stanno in giardino, un parco giochi in miniatura, con scivoli e pinco panco. Lei è un miscuglio stravagante. E anche da ragazzino ha fatto una scelta anticonformista. Cantava swing, mica Michael Jackson o la musica spaccatimpani degli Ottanta. «Però ho avuto ragione. Bublè ha artigliato il successo tornando agli anni '40. Io nell'arco dei '60-'70 mi sono calato in un certo tipo di jazz. Dopo una gavetta lunga, è andata bene. Perché da noi, in Italia, il jazz ha una tradizione. Si chiama Stefano Di Battista, si chiama Fabrizio Bosso, che suona in tre brani del mio cd». Non si tratta solo di musica. Anche di parole. Lei in «If» rispolvera in inglese «E se domani» di Carlo Alberto Rossi. Canta l'amore che non sia solo sesso, la speranza, i buoni sentimenti. Roba da american dream. Come la mette con la dittatura dei Gf, dei violenti, degli sguaiati? «Insomma, sono uno fuori tempo. O un utopista. Però la mia dose di aggressività ce l'ho. Diciamo che non la coltivo. Anche se vengo dalla Sicilia, un far west di coltelli e pistole. Ma anche di grandi, vecchi valori». Uno che ha faticato tanto per riuscire che ne pensa dei talent show? «Bel contenitore per confrontarsi coi big. Un giovane che incontra un Beppe Vessicchio non è un fortunato? Solo, attenzione al tritacarne del mercato. Pericolosa lusinga». Lei se ne è tenuto fuori. «La sfida è cercare sempre di trasmettere qualcosa. Prenda Eros Ramazzotti, da trent'anni sulla cresta dell'onda. Ci riesce perché non si siede, sa che ogni nuovo disco è una prova». Chi le ha dato il consiglio più utile? «Renato Zero. L'ho incontrato a Roma. Registravo al Forum Music Village. Lui stava lavorando a «Presente», l'ultimo cd. Il fonico mi dice: in una sala c'è Renato. Sono andato subito a salutarlo e lui: "Meno male che sei spuntato fuori, stai facendo cose nuove e belle". Poi altri scambi di idee, confidenze, e la dritta: "A ni', lascia perde le major. Sony, Emi...so finiti tutti, stanno a chiude. Tu fai il tuo lavoro, non ave' paura de gnente". E mi ha galvanizzato con Tattica, la mia etichetta indipendente». Ha duettato con soddisfazione. Insieme alla Vanoni, a Karima Ammar, allo stesso Zero. E adesso? «Con Chaka Khan, invitato dagli Incognito, per il disco del loro trentennale. Succederà nei primi mesi del 2010». Ai suoi ragazzini quali dischi fa sentire? «Cose diverse. Musica classica, le mie canzoni, Zero. Jonas Brothers per loro sono un mito». S'intrufola sua figlia Zoe, undici anni. «Però, papà, Baglioni è meglio di tutti».

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