Oltre il Muro: ora si può capire cos'è stato il comunismo
Nessuno, prima del novembre 1989, aveva previsto il crollo dell'Unione sovietica, quindi la fine della Guerra fredda con la liquefazioni di quella "Cortina di ferro" tra il mondo libero e quello comunista di cui aveva per primo parlato Winston Churchill a Fulton (Missouri) nel marzo 1946. Quell'evento storico, di cui oggi celebriamo la fausta ricorrenza, ha avuto importanti conseguenze non solo internazionali ma anche sull'Italia che vent'anni fa aveva ancora il maggiore partito comunista dell'Occidente che condizionava l'intera vita politica. Il mondo, che era vissuto per quarant'anni nel rapporto di forze bipolari, per un verso aveva visto fronteggiarsi i due blocchi in conflitti locali (Corea, Vietnam…) combattuti per contenere l'espansione del comunismo, e per un altro si era adagiato nell'equilibrio del terrore che, grazie alla paura della catastrofe atomica, aveva mantenuto la pace soprattutto in Europa. Al di là delle conseguenze geopolitiche, la caduta del Muro significò specialmente la fine della più efferata utopia totalitaria, il comunismo, che aveva causato centinaia di milioni di morti in Unione Sovietica, in Cina e negli altri paesi comunistizzati come la Cambogia di Pol Pot. Con la fine del comunismo qualcuno parlò anche di "fine delle ideologie", nell'illusione che non vi fossero più conflitti ideologici, cosa che ben presto risultò falsa con l'insorgenza del fondamentalismo islamico portatore di tragico terrorismo. In Italia, la fine del comunismo sovietico ebbe effetti altrettanto profondi di quelli prodotti nella Germania divisa in due e nelle cosiddette "democrazie popolari" dell'Europa orientale. Nel 1989, a distanza di 45 anni dalla guerra, il Partito comunista Italiano non aveva ancora compiuto una svolta revisionista come era accaduto altrove, perfino nella socialdemocrazia tedesca che negli anni Cinquanta si era de-marxistizzata a Bad Godesberg, Togliatti prima, e Berlinguer poi, erano sempre stati ambigui nei confronti dell'ideologia comunista e della natura dell'Unione sovietica. L'uomo sbarcato a Salerno nel 1943 con in tasca le direttive di Stalin, aveva ingannato gli italiani, e in specie l'intellighenzia di sinistra, con il miraggio della "via italiana al socialismo" che certo era una prospettiva diversa dal socialismo della fame dell'Urss, ma che restava pur sempre nell'ambito della comune famiglia totalitaria comunista, come si comprese quando "il migliore" sostenne a spada tratta la sanguinosa repressione di Budapest del 1956, e il suo successore condannò la rivolta di Praga del 1968. Anche il mite Enrico Berlinguer, che pure era consapevole delle nequizie sovietiche, non ne prese mai veramente le distanze nette, tanto che qualche anno prima della caduta del Muro senza ironia parlò "solo dei tratti illiberali" del più spaventoso autoritarismo del XX secolo. Nel corso degli ultimi venti anni, le successive trasformazioni del PCI in PDS, DS e PD ad opera di Occhetto, D'Alema, Fassino e Veltroni (alcuni dei quali dichiararono con humour di non essere mai stati comunisti) hanno tutte risentito della mancanza di atti risoluti di rottura compiuti a tempo debito con il legame ideologico e politico col comunismo sovietico. Nessuno di loro ha mai davvero accettato la lucida analisi di Anna Harendt che, a cavallo della seconda guerra mondiale, aveva magistralmente accomunato i caratteri totalitari di nazismo e comunismo. Non voglio certo dire che i comunisti italiani sono stati per anni equivalenti a quelli sovietici, ma la mancanza di chiarezza nel riconoscere nel presente e nel passato la fondamentale distinzione tra l'utopia comunista e i principi liberali su cui si sono rette le democrazie occidentali, ha avuto a lungo nefasti effetti sul sistema politico italiano che ancora oggi ne risente. C'è da augurarsi che l'anniversario della caduta del Muro sia non solo occasione di retoriche rievocazioni, ma induca anche a quella riflessione storica e politica sul significato del comunismo nel mondo e in Italia che per tanti anni è stata, se non ignorata, certamente sottostimata.