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In Italia le barriere non sono ancora crollate

Il Muro di Berlino

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Enzo Bettiza chiude il suo bellissimo libro di respiro internazionale "1989- La fine del Novecento" rammaricandosi di non avere "potuto descrivere un 1989 italiano" e spiegandone così le ragioni: "Un 89 autentico non c'è stato per il comunismo italiano. Esso, rovesciando le carte in tavola e sbarazzandosi con l'aiuto dei magistrati del socialismo craxiano, ha addirittura invertito il significato e la marcia anticomunista di quell'anno fatale. I regimi sovietizzati morivano nell'est europeo, ma in Italia, nello stesso tempo, si verificava il più insolito e innaturale dei paradossi. Sotto le macerie berlinesi non finiva il Pci, finanziato da Mosca, e che mai aveva fatto un gesto concreto in favore di uomini e gruppi che stavano ascendendo al potere sopra le ceneri del totalitarismo comunista. Le macerie schiacciavano il Psi, che invece aveva aiutato politicamente e materialmente i dissidenti cecoslovacchi e i sindacalisti polacchi.   Nei giorni in cui Havel trionfava a Praga e Walesa a Varsavia, Craxi perseguitato s'avviava all'esilio, mentre i dirigenti del Pci riciclato in Pds si preparavano al governo.Da nessuna parte la storia di fine Novecento era stata così beffarda come in Italia". A queste impietose osservazioni di Bettiza aggiungo, di mio, una sintesi esplicativa delle iniziative assunte dal Pci dopo la caduta del muro di Berlino. Mentre Bettino Craxi lanciava lo slogan della "unità socialista", infranta a Livorno con la storica scissione comunista del 1921, Achille Occhetto correva il 12 novembre a Bologna per proporre, sotto altro nome e con un altro simbolo, l'allargamento del Pci a energie cattoliche, ecologiste e radicali. Ciò significava erigere un altro muro contro i socialisti, o raddoppiare quello già innalzato da Enrico Berlinguer più di dieci anni prima contro la svolta riformista impressa da Craxi al Psi. La proposta di Occhetto fu approvata il 24 novembre dal Comitato Centrale e l'11 marzo 1990 dal congresso straordinario di Bologna. Il 31 gennaio del 1991 si svolse a Rimini il congresso di scioglimento del Pci, il 3 febbraio quello costitutivo del Pds, che si sarebbe poi sviluppato nei Ds e infine nel Pd, con la sostanziale confluenza della sinistra democristiana, passando per le mani di Massimo D'Alema, Walter Veltroni, Piero Fassino, ancora Veltroni, Dario Franceschini e Pier Luigi Bersani. Sul Pds contrassegnato da una quercia e sulla base comunista comprensibilmente disorientata incombeva nella primavera del 1991 il pericolo letale di un'interruzione della legislatura. I dirigenti "post-comunisti" andarono a impietosire la rinuncia alle elezioni anticipate da Craxi, che imprudentemente la concesse. Per tutta risposta l'anno dopo, quando a ridosso delle elezioni ordinarie scoppiò la bufera giudiziaria di Tangentopoli, essi la cavalcarono con tutta la violenza e il cinismo possibili, per quanto la pratica del finanziamento illegale della politica non fosse stata certamente estranea alla loro storia. Da Craxi il Pds ottenne poi anche l'assenso indispensabile per l'ammissione all'Internazionale Socialista, dove però esso avrebbe proseguito la guerra contro di lui avviata in Italia e condotta sino alle estreme conseguenze, cioè sino alla sua morte. Della quale il 19 gennaio prossimo ricorrerà il decimo anniversario. Come rito riparatorio il presidente del Consiglio dell'epoca, che era D'Alema, rispolverando qualche decreto adatto alla circostanza offrì alla famiglia dell'ormai scomparso leader socialista i funerali di Stato che gli spettavano per avere guidato il governo dal 1983 al 1987. Ma l'offerta fu giustamente e dignitosamente rifiutata, vista peraltro l'ostinazione con la quale, scaricandosi farisaicamente le responsabilità a vicenda, autorità giudiziarie e politiche non avevano voluto neppure garantire la possibilità al "latitante" di tornare in Italia dalla Tunisia per ricevere in condizioni di libertà le cure ormai terminali di cui egli aveva bisogno. La storia italiana dei muri comunisti e post-comunisti non è tuttavia finita con Craxi. Un altro muro è stato costruito contro Silvio Berlusconi, colpevole di essersi messo di traverso sulla strada del Pds e delle sigle successive. Gli ingredienti di questo muro sono in gran parte gli stessi di quello innalzato contro Craxi: indagini giudiziarie, processi, teoremi tipo "non poteva non sapere", campagne denigratorie e altre aggressioni mediatiche.   Ma Berlusconi, diversamente da Craxi, guida il governo con una designazione elettorale diretta. Che, pur ritenuta irrilevante dai giudici della Corte Costituzionale, sino a negargli la sospensione dei processi durante l'esercizio del suo mandato garantitagli da una legge ordinaria sulla quale aveva messo la sua faccia lo stesso presidente della Repubblica, gli consente di resistere con il consenso popolare. E forse anche di spuntarla.  

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