1989-2009, quel novembre che cambiò il mondo
Wolfgang Becker, il regista del film culto «Good Bye Lenin», quello della storica sequenza in cui una statua del leader comunista, trascinata da un elicottero, saluta una Berlino Est in festa tumultuosa all'indomani del 9 novembre 1989, di quel giorno ama dire che è stata la più grande lezione di storia della sua vita. Da cui abbiamo appreso, tutti quanti, non solo i berlinesi e non solo i tedeschi, che passato l'angolo ottuso delle guerre ideologiche, forse, l'Europa aveva buone speranze di farsi terra fraterna di popoli come mai prima in passato. E sia, ma il crollo del Muro è sì un evento storico, cadenzato nel tempo degli uomini e della politica, ma forse è ancor di più un evento simbolico che, nella cronaca e nell'epifania di quei pezzi di pietra che cascano a terra, nelle facce delle guardie orientali, nelle espressioni di gioia sbigottita di amici che abbracciavano amici e gente in pigiama che correva a vedere come si vive e si beve nel vicino eppure irraggiungibile Occidente, trasforma la vittoria occidentale nella “guerra dei mondi” in trionfo occidentale della “guerra degli immaginari”. Se associ immagini alla Berlino Est prima dell'89, come a tutti i luoghi infausti delle dittature comuniste, la memoria o la fantasia producono immagini in bianco e nero e l'immaginario di popolazioni piegate a pensare senza colori. Se vivi e rivivi la Berlino riunificata, dopo che il Muro schianta sui suoi ventotto anni di orrendo confino, scopri e immagini un carnevale di colori, di artisti all'opera, di creatività messa su strada da architetti, stilisti, designer, pittori. E Berlino, negli ultimi vent'anni, si è fatta davvero capitale, attraverso le espressioni artistiche. L'abbandono delle ideologie fonde riscoperta delle radici e contaminazioni multiculturali, con le sue barriere frantumate e le sue nevrosi. Bianco e nero del ricordo storico, colori esplosivi nel racconto del presente per mano degli artisti pop-surrealisti e apocalittici: il senso, prima estetico che artistico, delle due mostre allestite una di fronte all'altra al Macro Future di Roma è anzitutto in questo contrasto cromatico. Se il Muro fosse rimasto lì, metà del cielo sarebbe rimasta bianca, nera e grigia, cadenzando i ritmi di vite prive di libertà. Se la storia non avesse preso quella piega così rapida e rapidamente sfuggita ai cagneschi controlli polizieschi della Ddr, avremmo certo, e ancora, lucenti figure intellettuali prodotte nella Germania Orientale, ma non avremmo una grande cultura tedesca ritrovata anche nelle sue radici di appartenenza. Non avremmo neppure a disposizione il nostro immaginario unificato dell'Era Globale, mediatizzato, manipolatore e iconico ma non pacificato, anzi nevrotizzato dalle isterie della postmodernità, l'immaginario dell'Occidente che ha vinto e oggi rischia di soffocare nella propria bulimia. Se Berlino non fosse tornata una, poi, non si sarebbe mai trasformata in quell'immenso cantiere a cielo aperto, con le sue piazze da reinventare, le sue strade da ricostruire, le enormi aree urbane e l'immensa disponibilità di spazi e abitazioni aperte a tutti, soprattutto ai portafogli dei più giovani. Via libera e Apocalypse Wow!, dunque, vanno pensate assieme, come un unico percorso immersivo e passionale di storia, di memoria, di senso, di immaginario.