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"Quella volta che Alda disse a me, psichiatra: la follia è sacra"

Alda Merini, una delle più grandi poetesse del Novecento

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Ho conosciuto Alda Merini nel 1993, fuori dal «Paolo Pini», il manicomio dove era stata per tanti anni, lo stesso dove da quattro anni lavoravo come psichiatra. Un pomeriggio andai a trovarla per conoscerla e chiederle consigli. Stavo lavorando con un gruppo di colleghi ed amici artisti ad un progetto che coinvolgeva i malati del Paolo Pini: volevamo aprire nell'ospedale una scuola d'arte. Alda Merini ce l'aveva fatta, come diceva il collega Gabrici, lo psichiatra che anni prima l'aveva curata, lei "si era salvata grazie alla sua arte". Quando mi ha accolto nella sua casa sui navigli ho avuto la sensazione di entrare in un mondo densissimo, dove infiniti strati di vita accumulatisi nel tempo erano lì in un "ordine sparso" , come diceva lei, "un bailamme" che le dava calore e nel quale si trovava perfettamente a suo agio. Ero molto emozionata quando ho iniziato a spiegarle chi ero e cosa stavo facendo. Lei mi ha ascoltato con tenerezza . Poi mi ha sorriso, facendomi accomodare vicino al pianoforte e ha cominciato a suonare. Diceva che la musica la rilassava , ma anche quando parlava la sua voce era musica, le sue parole erano musica. Nell'ascoltarla ti sentivi pervaso da una strana e meravigliosa inquietudine perché ti trovavi di fronte alla soglia del grande mistero, alla soglia di un mondo trascendente, affascinante: lei era musica e poesia vivente. Non ci fu bisogno di molti discorsi: lei era la passione, il coraggio di accettare il dolore, la capacità di farsi permeare dalla vita, di ascoltarla fino in fondo, di affrontare la verità del cuore. Le dissi che Rita, una mia paziente, mi aveva scritto: "appoggia la mia mano nella tua, amica, e non mi lasciare sola in compagnia di ferree scienze… sono povera come margherita, ma se mi cogli sono ricca di petali colorati…". Mi disse che la follia è una delle cose più sacre che esistono sulla terra. Mi lesse una poesia" Manicomio è parola assai più grande delle oscure voragini del sogno, eppur veniva qualche volta al tempo filamento di azzurro o una canzone lontana di usignolo o si schiudeva la tua bocca mordendo nell'azzurro la menzogna feroce della vita". La strada giusta sarebbe stata difficile e la responsabilità enorme. Lei mi diede la forza di credere e di rischiare oltre gli schemi e le diagnosi psichiatriche. Ora, anche grazie a lei, il Paolo Pini è diventato il MAPP, un museo di arte contemporanea dove i pazienti, non più reclusi, incontrano e lavorano a quattro mani con gli artisti , si esprimono e sono ascoltati e con le loro opere possono avere un loro posto nel mondo. * psichiatra A.O. Ospedale Niguarda Cà Granda, responsabile progetto Museo d'Arte Paolo Pini . www.mapp-arca.it

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