Un'altra stagione costituente Ma di riforme e di rinnovamento non ne parlano forse tutti? Sì, e anche da molti anni.
Ancoroggi il Paese si sente in mezzo al guado di una trasformazione a metà, a lungo promessa e mai completamente attuata. Quella che servirebbe è una grande stagione costituente. Per realizzarla, sarebbe necessario in primo luogo un rinnovamento della cultura e del lessico stesso della politica. Siamo dominati da troppe parole roboanti, iperboliche, immaginifiche che non rimandano al XXI secolo della libertà, della modernizzazione, dei nuovi orizzonti globali e sovranazionali, ma al XX secolo delle ideologie, delle inimicizie radicali, delle idee blindate entro i fortilizi dei partiti- chiesa. Le ideologie si sono dissolte, ma di esse qualcosa è rimasto, sotto forma di un pulviscolo tossico che continua a produrre ostilità, in forme infinitamente più blande del passato, ma comunque capaci di produrre divisioni artificiose. È una nebbia sottile che altera il dibattito tra le forze politiche e non permette di distinguere con la necessaria nitidezza le questioni su cui è giusto e legittimo dividersi rispetto a quelle su cui è necessario convergere con una volontà comune. E la più importante non c'è dubbio che sia la questione del rinnovamento istituzionale. Perché il cambiamento delle regole riguarda tutti, non solo una parte. Perché la Costituzione segna il perimetro della casa comune degli italiani. Perché è necessario riscoprire il patriottismo costituzionale come valore che cementa la coesione sociale non meno che quella politica. Che cos'è una nazione? Ma che cos'è una nazione, potremmo dire riecheggiando Ernest Renan? La nazione è la comunità storica che si afferma come comunità politica. Non basta la storia a fare la nazione, né bastano la lingua, i costumi, il comune retaggio morale e culturale. Né il territorio, che è il luogo fisico. Né la patria, che è il luogo del sentimento. Né il popolo, che è l'identità comune tra le generazioni storiche. Né tantomeno basta la popolazione. La nazione è l'insieme di tutte queste cose che si esprime in una volontà politica. Non c'è nazione senza la volontà di esserlo. La nazione è un «plebiscito che si rinnova tutti i giorni» diceva Renan. È la percezione di un comune destino, un percorso che non è scritto negli astri ma nella volontà di condividerlo. Come tale, la nazione è un progetto in evoluzione continua; è sempre e non è mai. È una comunità politica in cammino e unita da un vincolo solidale. La nazione può anche conoscere momenti di eclisse. Accade quando il vincolo solidale si indebolisce e gli obiettivi comuni si fanno incerti. Oppure quando prevale la discordia e i conflitti si esasperano. L'Italia, di tali eclissi, ne ha conosciute parecchie. La storia ci consegna un sentimento nazionale incerto, con momenti di forte unità (pensiamo alla grande prova sostenuta dagli italiani tutti durante la Prima guerra mondiale, oppure alla grande, comune speranza rinata negli anni dell'Assemblea Costituente, della ricostruzione e poi del miracolo economico) che si sono alternati con momenti altrettanto forti di inimicizia (...). Saremo tanto più nazione quanto più riusciremo a integrare le comunità di immigrati legali nel nostro tessuto culturale e civile.