Levi Strauss, l'umanista
Claude Levi Strauss è stato nell'ambito dell'antropologia culturale un autentico rivoluzionario. Prima di lui la scuola storica dell'antropologia culturale, da Morgan in poi, aveva pensato che tutte le istituzioni sociali fossero sottomesse al divenire della storia e fossero quindi destinate a cambiare al variare del tempo. In modo particolare questa analisi veniva applicata alla famiglia. Si voleva negare una struttura naturale della famiglia e si preferiva invece immaginare una pluralità indefinita di forme di famiglia nel passato e il riproporsi di una analoga pluralità di forme di famiglia nel futuro. Difficile era il rapporto fra antropologia culturale e psicanalisi. A Freud veniva rimproverata la tesi del triangolo edipico: padre, madre e bambino. La psicanalisi infatti sosteneva che l'identità dell'essere umano si forma nel rapporto dialettico con il (un) padre e la (una) madre. È facile trarne la conseguenza che esiste una forma naturale della famiglia fatta da un padre, una madre ed un certo numero di figli. Diversi antropologi si sono avventurati in paesi lontani alla ricerca di un modello di famiglia che contraddicesse la tesi freudiana. Invano. Bronislaw Malinowski si avventurò in un viaggio alle isole Trobriand e ne estrasse un libro a suo tempo famoso «Sesso e repressione sessuale tra i selvaggi»; Margaret Mead scrisse invece «L'adolescenza in Samoa» ma ambedue non riuscirono a trovare il modello di una società matriarcale in cui la famiglia fosse sconosciuta e le relazioni sessuali fossero totalmente non regolamentate. Levi Strauss capovolge questo paradigma. Nel suo libro sulle forme elementari della parentela, l'antropologo francese tenta di costruire una matrice originaria da cui possono essere derivate tutte le forme storicamente conosciute di sistemi parentali. La matrice originaria delle forme della parentela che egli scopre riconduce al tabù dell'incesto. Il tabù dell'incesto impone la conoscenza dei rapporti di filiazione e fa quindi giustizia di ogni ipotesi di società matriarcali originarie in cui fosse ignoto il ruolo del padre nella generazione. Questo approccio mette in evidenza una profonda affinità tra psicanalisi ed antropologia culturale. Questa affinità è fondata sulla scoperta di una struttura originaria, naturale che sottende un numero potenzialmente infinito di varianti storiche. Levi Strauss rinnova in tal modo ed amplifica nell'ambito dell'antropologia culturale la grande lezione di Emile Durkheim e di Marcel Mauss. In una fase appena poco successiva Noam Chomski nell'ambito della linguistica costruiva la sua grammatica generazionale cioè una grammatica universale dalla quale tutte le grammatiche effettivamente esistenti potessero essere derivate attraverso un sistema di variazioni. Chomski che si colloca sulla scia di De Saussure fa perno anche lui sul concetto di struttura. Lo strutturalismo che metteva insieme antropologia culturale, linguistica e psicanalisi divenne poi una moda dominante, ancorché talvolta un po' orecchiata e non sempre ben compresa nella cultura europea degli anni '70. Il perno era appunto l'idea di struttura opposta alla idea di una integrale storicizzazione dell'essere umano. È evidente che tra l'idea di struttura e l'idea di natura nel senso della tradizione filosofica-classica c'è appena un passo. Questo passo per altro Levi Strauss si guardò sempre bene dal compierlo. Godeva del fatto di essere considerato un precursore, un profeta ed un maestro della esoterica setta degli strutturalisti ma si guardava bene dall'accettare generalizzazioni eccessive tratte da una lettura affrettata della sua opera. Piuttosto Levi Strauss in quegli anni rifletteva sulle molteplicità delle culture umane che corre parallela alla molteplicità dei sistemi di parentela e delle lingue e sulla unicità irripetibile di ciascuna di esse, che sempre riflette un lato, altrimenti inavvicinabile, del fenomeno umano.