Alda Merini, la voce dell'amore
Alda Merini era sicuramente la poetessa più conosciuta dal pubblico italiano non "specializzato". Nella sua vita non si è mai sottratta - per generosità - alle insistenze del mondo mediatico, che l'ha sempre interpellata un po' cinicamente per l'esperienza dolorosa del manicomio, che fu costretta a vivere per circa un ventennio, diciamo dalla raccolta poetica "Tu sei Pietro" (Scheiwiller, 1962) fino alla "resurrezione" di "La Terra Santa" (Scheiwiller, 1984): un ventennio che coincide simmetricamente con un triste silenzio poetico. Scoperta giovanissima da Angelo Romanò e da Giacinto Spagnoletti, pubblicò presso il geniale editore Schwarz il suo primo libro nel 1953, "La presenza di Orfeo"; libro che fu molto apprezzato da critici e poeti quali Salvatore Quasimodo, David Maria Turoldo, Pier Paolo Pasolini. Poi, dopo il silenzio della malattia e del manicomio, Alda Merini ha vissuto un sempre crescente successo. Tra le opere del dopo "resurrezione" citiamo almeno "Testamento" (1988), "Ballate non pagate" (1995), "Superba è la notte" (2000), "Più bella della poesia è stata la mia vita" (2003), "Clinica dell'abbandono" (2004), "L'anima innamorata" (2000), "Corpo d'amore. Un incontro con Gesù" (2001) e "Magnificat. Un incontro con Maria" (2002). Un momento di grande attenzione intorno all'opera e alla vita di Alda Merini è si è avuto nel 1986 con la pubblicazione del diario "L'altra verità. Diario di una diversa", pubblicato prima da Scheiwiller e poi da Rizzoli; libro in cui la poetessa milanese parlava apertamente del suo inferno mentale, primo di una lunga serie di libri in prosa. La poesia e la scrittura di Alda Merini - al di là dei tanti riferimenti alla tradizione biblica e religiosa - è sempre stata una poesia "semplice" (non facile), che in qualche misura la legava a un'altra poetessa contemporanea molto popolare, ovvero a Wislawa Szymborska, premio Nobel nel 1996. In più, rispetto alla Szymborska, la Merini aveva questa generosità (e anche fragilità) di farsi invadere dal sistema mediatico, che più volte, a onore del vero, ha provato a trasformarla in un fenomeno da baraccone, sia interrogandola sul suo vissuto, sia gettandola al centro di polemiche pretestuose (l'ultima è stata quando la Merini, due anni fa, ha minacciato di farsi esplodere in aria, e l'Aem di Milano le ha staccato il gas). A Milano, che non riconosceva più, dedicò questi pochi amari versi (in "Canto Milano"): "Milano è diventata una belva / non è più la nostra città, / adesso è una grassa signora / piena di inutili orpelli". Pure, la Merini, a differenza dei poeti italiani, donava "poesie volanti" a chiunque gliene chiedesse, tanto che sarà arduo, un giorno - se non cadrà il silenzio sulla sua opera ora che è venuta a mancare la poetessa - mettere ordine nelle sue carte, che sono disperse, oltre che nei tanti libri, anche in giornali, riviste e minuscole plaquette. Comunque è molto vasto il repertorio tematico della Merini, anche se il tema dominante della sua opera rimane l'amore carnale e materno: l'amore ferito a morte in mille modi diversi. Con Alda Merini muore una poesia vissuta come vocazione totale, una poesia esposta, sincera, indifesa, donata al mondo con il cuore aperto. Speriamo venga letta anche ora che non c'è più.