«È naturale che Fini ora si appoggi al suo pensiero»
Equesto esercizio della memoria mi riporta alle mente mio padre, un fascista toscano, una persona per bene. Si era sposato in camicia nera...». Giampiero Mughini, scrittore e giornalista culturale di raffinatissimo gusto, sfoglia con molta emozione il suo personale album dei ricordi per rileggere, nel ventennale della scomparsa, la luminosa figura del leader missino. Ne viene fuori un amarcord delicato, un racconto che può solo scorrere a bassa voce. Un film di un'Italia profonda, rispettosa della ricchezza delle culture politiche che hanno fatto grande questo paese, attraverso il riconoscimento «dell'altro da sé». Mughini è stato uno dei primi intellettuali a rompere con il conformismo antifascista che voleva una automatica sottovalutazione di tutto quello che si produceva culturalmente e politicamente nel mondo della destra italiana. Nel dicembre del 1980 fu autore della trasmissione «Nero è bello», su Rai Due, un viaggio nel mondo semi sconosciuto dalle radio, delle sezioni, dei fermenti culturali dei giovani del «polo escluso»: una registrazione cult nella quale appaio giovanissimi Umberto Croppi, Marco Tarchi, Monica Centanni (questi ultimi adesso docenti universitari a Firenze e Venezia). Nacquero amicizie e frequentazioni impensabili in anni nei quali la durezza delle ideologie animava una dialettica feroce tra nemici e nelle strade risuonavano gli ultimi sanguinosi botti degli anni di piombo. Nel 1987 tornò a confrontarsi, attraverso pagine commuoventi, con il fascismo, affrescando un ritratto famigliare emozionante nel saggio «Compagni, addio»: il capitolo si intitolava «Quell'uomo in camicia nera era mio padre». «Quella foto di Mussolini giovane e scattante del 1919, quella foto che stava dietro il tavolo da lavoro dove mio padre passava la massima parte della sua vita, era stata a lungo per me un enigma doloroso», scrive nell'incipit di un excursus che giunge fino ad una coraggiosa apologia del giovane scrittore collaborazionista francese Robert Brasillach, fucilato dai partigiani. Mughini ricorda allora la lealtà di Niccolai ricostruendo i fatti dolorosi del 1972. Le lancette tornano indietro al mese di maggio. «A pochi giorni dalle elezioni politiche il movimento extraparlamentare Lotta Continua decise di organizzare una contro manifestazione nel capoluogo toscano per impedire un comizio del Movimento sociale. «Caschi il mondo su di un fico/Niccolai a Pisa non parlerà», c'era scritto sui manifesti affissi in città. Sul palco doveva esserci proprio Beppe. A seguito degli scontri tra militanti di estrema sinistra e polizia morì in carcere l'anarchico Franco Serantini, che nei tafferugli aveva ricevuto tantissime botte dalle forze dell'ordine». E qui la cronaca si incrocia con una delle pagine più controverse degli "annales" dell'Italia repubblica. «Il pentito Leonardo Marino raccontò nel processo Sofri - spiega lo scrittore siciliano - come questo avvenimento fu la cosiddetta goccia che fece traboccare il vaso in Lc. E da lì venne la decisione di uccidere il commissario Calabresi. Ecco la generosità di Niccolai emerse in questo frangente nitida: non solo ricordava con commozione la morte del giovane ventenne sardo, ma dichiarò di essere sinceramente convinto dell'innocenza di Sofri. E lo fece con una presa di posizione pubblica». Poi una amarezza. «A distanza di tanti anni, di fronte alla statura morale di Niccolai, nessun esponente di Lotta Continua si è mai degnato di chiedergli scusa. Negargli il diritto alla piazza era una sssurda pretesa. Ma si sa, gli ex Lc non sono molto eleganti...». «Lo conobbi molti anni dopo - e la voce di Mughini ha un filo di emozione - in incontri nei quali si confrontavano giovani che venivano dalla sinistra e intellettuali curiosi e ricchi di idee della destra come Giano Accame. Tra questi c'era anche il giovane Francesco Rutelli». Era il 31 maggio del 1983, l'associazione "Italia e Civiltà" organizzò un convegno al quale presero parte missini e laico-socialisti: Beppe Niccolai e Umberto Croppi da una parte, l'allora radicale Rutelli e il senatore socialista Antonio Landolfi dall'altra, insieme all'avvocato Luciano Lucci Chiarissi e a Pacifico D'Eramo. Infine c'è la politica dell'Italia dei nostri giorni, ferita da dossier velenosi e da un bipolarismo rovente che passa ormai anche per i buchi delle serrature delle camere da letto. «Croppi sostiene che ci sia una continuità tra il pensiero di Gianfranco Fini e quello del politico toscano? Umberto in questo caso accentua l'affinità. Niccolai - conclude Mughini - non impallidirebbe certo per questa comunanza. Il Fini di oggi è naturale che si appoggi al percorso nobile di Niccolai. La ricchezza morale del leader missino è un patrimonio prezioso per un politico come il presidente della Camera, che cerca vie nuove, che esplora nuovi territori per evitare che l'Italia resti impelagata e bloccata in questa deriva patetica a cui noi tutti assistiamo».