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Calder: poesie di metallo che si muovono nell'aria

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GabrieleSimongini Non ci si stancherebbe mai di cercare opere sempre diverse di Alexander Calder (1898-1976), il grande scultore americano che dopo aver poeticamente invaso il Palazzo delle Esposizioni approda ora nella Gagosian Gallery di via Crispi, fino al 30 gennaio. E il segreto sta nella sua capacità di creare un'altra natura, parallela ma indipendente da quella reale. Le sue sculture sembrano infatti pacifici organismi viventi che cercano un'imprevedibile relazione con noi esseri umani. Lo si vede bene appena si entra nella gigantesca sala ellittica della galleria: il suo spazio enorme è dominato con discrezione da due sculture monumentali per le dimensioni ma di fatto leggere agli occhi di chi le osserva rapito. «Rouge Triomphant/Triumphant Red» (1959-63) è un «mobile» ampio sei metri, sospeso in aria, uno dei tredici più grandi mai realizzati dall'artista, eppure quella sorta di foglie o pesci neri che sembrano inseguire l'unica sagoma rossa si muovono lentamente ed imprevedibilmente al semplice passaggio di due persone col loro spostamento d'aria. Mentre l'altra gigantesca scultura che le fa da contrappeso, lo «stabile» nero intitolato «Spunk of the Monk» (1964), sembra ben radicato in terra ed evoca le zampe di un grande ragno oppure degli elefanti in attesa. Del resto la cifra tipica di Calder è proprio la metamorfosi delle sue forme nel tempo e nello spazio, con un gioco che sembra non finire mai. Se ne ha una conferma anche con le altre opere in mostra: un «mobile» in acciaio cromato (1948) e poi «Blanc de Blanc» (1960), scultura fatta di soli elementi bianchi e frizzanti come il vino a cui fa riferimento il titolo, fino allo svettante «Five Points/Triangles» (1957). Ne vengono fuori tutti i miracolosi equilibri di un nuovo mondo creato da uno scultore preciso come un ingegnere e inventivo come un poeta.

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