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La città ha un nuovo museo Dedicato agli italiani partiti in cerca di fortuna È la storia di molti di noi

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IlMuseo Nazionale dell'Emigrazione Italiana che si apre oggi nel ventre del monumento-simbolo del Paese, il Vittoriano. Una raccolta in più per Roma Capitale, un sedimento di informazioni e immagini che chissà perché ha tardato tanto a nascere. L'immigrazione è la nostra storia: cominciò con l'Italia unita, con il processo zoppo del Risorgimento che impose il Regno sabaudo raschiando insieme tradizioni e ragioni di sussistenza di tanta parte dello Stivale; e ha portato via in due secoli 29 milioni di connazionali. Non ci sono solo le valigie di cartone, nel compatto museo diretto da Alessandro Nicosia. Né solo oggetti, foto, modellini dei piroscafi per il viaggio fino a a «Lamerica», mandolini, fisarmoniche, organetti, piccozze di minatori, carretti di venditori ambulanti, grambiuli di balie. C'è un mondo che si muove, a ritroso, attraverso le immagini. Ecco il primo piano della donna che ricorda il fratello, lo zio, partiti e mai più ritrovati. Ecco i filmati bianconero dell'Istituto Luce e delle Teche Rai, con i bastimenti al molo, le famiglie coi fagotti sui binari. Ma ci sono il supporto tecnologico, le guide telematiche, gli schermi interattivi. Così lievita l'appeal dell'esposizione per studenti, scolaresche, visitatori che affollano ogni giorno il cuore della Capitale. Perché ciascuno di noi ha un nonno, uno zio partito in cerca di fortuna. E ciascuno serba un ricordo. Così come ciascuno di noi ha un amico che ha sfondato all'estero con la sua impresa, che occupa un posto in qualche università oltreoceano. E infatti, le sezioni della raccolta partono dall'800 per arrivare a ora, con un'ultimo comparto di 60 foto degli immigrati in Italia, corredate di recenti dati. Una realtà dalla quale non si può prescindere. «Esponiamo 600 oggetti, di 45 prestatori. Ma ne potremmo avere duemila - spiega Nicosia - tanti sono quelli che ci sono stati messi a disposizione, anche da realtà locali. Per questo ogni sei mesi cambieremo il materiale esposto». Il futuro del Mei, così l'acronimo del museo, a ingresso gratuito, sono tappe in altre città italiane e all'estero. Ma fino al 2011 la sede è il Vittoriano. «Lunga la gestazione di questo spazio espositivo - racconta Nicosia - Avviato da Franco Danieli, vice ministro degli esteri nel Governo Prodi. Con un budget di tre milioni di euro. Ripreso dall'esecutivo attuale, riunendo a un tavolo i ministri Frattini e Bondi. Ma con un taglio più che sostanzioso, che ha portato il finanziamento a 800 mila euro. Sicché realizzare l'esposizione non sarebbe stato possibile se il Ministero Beni Culturali non avesse messo a disposizione gli spazi del Vittoriano». Si esce informati e interessati dal Mei. Ma se vuole approfondire, il visitatore può accedere alla biblioteca: 500 volumi consultabili in tempo reale. L'immaginario collettivo ha poi a disposizione un docu-film di un'ora. Dieci registi (tra loro Lizzani, Maselli, Montaldo, Salvatores, Squitieri, Vicari) spiegano i set dei loro film sul tema, intersecando la testimonianza con sequenze della pellicola. Così, Pasquale Scimeca ("Gli indesiderabili", 2003) pone l'accento sulla solitudine degli emigrati siciliani, isolati da una lingua che mischiava dialetto stretto e slang di «brookkolino». «Non li capivano in Usa, non li capivano più in Italia. Ignazio Buttitta, grande poeta, diceva: a un popolo puoi levare casa, lingua, soldi, ricordi, parenti. Resterà se stesso. Ma se perde la lingua, perde tutto».

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