Lo spazio bianco, di Francesca Comencini, con Margherita Buy, Giovanni Ludano, Antonia Truppo, Italia, 2009. Un felice incontro con Francesca Comencini.
Oggiil tema è più intimo, personale, la maternità. Prima quasi irrisa negli altri, poi non voluta per se stessa e finalmente pronta a pretendere un'adesione totale, passando sopra a tutto il resto. La racconta e ce la esprime una donna, Maria, che in seguito a una relazione fugace si è ritrovata madre dopo solo sei mesi, per colpa di un parto prematuro. Adesso la donna, che insegna a un gruppo di adulti in una scuola serale, finisce tutti i giorni di fronte a un'incubatrice, assistendo un'ora dopo l'altra a quel lento processo che alla fine le dirà se sua figlia nasce davvero o se invece muore. Attorno altre madri nelle stesse condizioni, altra gente nella scuola, nelle strade (siamo in una Napoli dai colori crudi), vari contatti con infermiere e con medici (con uno si abbozzerà una parvenza di rapporto). Il cuore del dramma, però, si stringe solo su quell'attesa e sugli interrogativi angoscianti che la attraversano. Francesca Comencini lavora su quella, smussandone i climi riarsi proprio con quei contorni e con sparsi ricordi di Maria prima del parto, ma tenendola sempre in primo piano fra le luci incerte delle speranze e il buio sempre ben presente dei pessimismi e della disperazione. Fino, appunto, a far scaturire l'idea stessa della maternità dall'analisi attenta di quel carattere di donna, studiato non solo molto da vicino, ma addirittura nel suo intimo, dandocene quasi una radiografia precisa e puntualissima non dissimile da quelle che si affacciano nelle asettiche cornici ospedaliere cui l'azione si affida quasi per intero. Il risultato convince fino alla commozione (in termini sempre asciutti, comunque), ma forse non lo si sarebbe totalmente raggiunto se nel personaggio di Maria non ci fosse la grande Margherita Buy. Forse, segnata, mobilissima nella mimica, spesso impetuosa nei gesti, non poteva darci di più. Superando se stessa. (A Roma in dieci sale)