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L'oscuro mercato nel docufilm Hot

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Essere umani usati come scatole biologiche da spacchettare, dalle quali sfilare l'organo per il ricco morente compratore, e da richiudere con ago e filo del chirurgo. Questo mondo clandestino è raccontato nel docufilm «Hot» (Human organ traffic), girato dal regista Roberto Orazi, romano, 45 anni, lungo un viaggio dal Brasile al Nepal, passando per la Turchia, cominciato nel novembre 2007 e terminato il giugno dopo. Il coraggioso produttore è Riccardo Neri, inventore della Lupin Film (che dal celebre cartone animato oltre al nome ha ripreso anche la 500 gialla). Il dossier è un pezzo d'autore approdato alla Festival internazionale del film di Roma, nella sezione extra e come evento speciale, già comprato da Current tv, in visione a Rai e Mediaset, e presto in vendita come libro raccolta delle foto scattate dal giovane e talentuoso Nicolò Guasti. Domenica alle 22,30 «Hot» inchioderà gli spettatori dell'Auditorium, nella sala teatro studio, alla presenza di regista, produttore e altri ospiti. Uno è particolare. Si chiama Paulo Pavesi, un uomo di 46 anni, brasiliano, incupito da rabbia e dolore. Il suo volto è il primo fotogramma del film. Nel 2000, dopo una caduta in casa ha portato il figlio di 10 anni in ospedale e se l'è ritrovato cadavere, sporzionato, senza più occhi, reni e altro ancora. Sa a chi sono andati ma non ha potuto fare niente per evitarlo. La sua storia però è servita per scoperchiarne altre e risalire all'organizzazione, ai nomi e alle rotte di questo mercato delle ombre. Il malato chiede, l'intermediario (un ex donatore) cerca tra i poveracci pagati dai 10 ai 15 mila euro, consegna poi i donatori all'organizzazione che li spedisce in Sudafrica per l'espianto. Nel 2003 sono stati arrestati un capitano dell'Esercito e un israeliano che per anni ha venduto armi alla Difesa e dopo ha cercato organi per i suoi connazionali in patria. Lo stesso copione Orazi lo ha documentato in Turchia (parlando pure coi medici condannati per complicità) e in Nepal, nazione sul tetto del modo in cui però i suoi contadini vivono nell'abisso: in cambio della promessa di un lavoro in India vengono tagliati, espiantati e neppure pagati. «Per i donatori - spiega il regista - alla base di tutto c'è un solo scopo, risolvere il problema della povertà, fare i soldi. Qualcuno ci è riuscito a metà, in Nepal però le persone non conoscono il valore del denaro, sono intossicate dal consumismo, sedotte dal fascino degli oggetti e finiscono prede di questi mercanti della vita». Orazi sta lavorando al suo primo film. Il soggetto: uno scontro generazionale tra padre e figlio che scoppia col pretesto di un peschereccio, a Fiumicino. La soluzione sarà da vedere.

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