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"Mia si lasciò morire con la droga"

Mia Martini e Loredana Bertè duettano a Sanremo nel '93

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Nella testa di "Lola", quel telefonino non smette mai di squillare. Per questo rifiuta ancora di usarne, quasi 15 anni dopo quella maledetta sera. Domenica è andata in tv da Barbara D'Urso, per chiedere scusa a sua sorella, per non averle risposto. «Mimì mi aveva regalato un cellulare, perché non riusciva mai a trovarmi. Un venerdì questo telefono non smetteva di suonare e io non ho voluto rispondere. Io ero a Milano. Mimì stava troppo male perché, come accade ogni volta che un'artista è troppo brava, per invidia si dice che porti sfortuna». La trovarono ore dopo, nell'appartamento che aveva appena affittato a Cardano al Campo, nel Varesotto, dove si era trasferita per tentare un riavvicinamento anche fisico a quel papà così difficile, e al quale aveva chiesto perdono per averlo provocato, tanti anni prima, con la canzone "Padre davvero". Con lui, con il signor Giuseppe Radames Bertè, stimato professore di latino e greco, aveva cenato il giovedì. Era tornata da un concerto nel Casertano, dove si era commossa perché una bambina le aveva regalato una rosa. Cantava "Piccolo uomo", intonava "...è l'ultima occasione per vivere" e le lacrime brillavano sotto i riflettori. Quella sera del 12 maggio 1995 sarebbe dovuta tornare in Campania, un altro recital a Salerno. Il manager Nando Sepe provava a chiamarla, ma niente. I vigili del fuoco rinvennero il corpo di quella donna, Domenica Bertè, di anni 47, in arte Mia (come omaggio alla Farrow) Martini (un richiamo a un brand italiano nel mondo). "Mimì" era riversa sul materasso, il braccio proteso verso la cornetta del telefono, l'agenda aperta. Probabilmente stava cercando di chiamare "Lola": così lei aveva ribattezzato quella sorella bizzosa, Loredana Bertè. Per ironia della sorte, si erano riconciliate dopo un tentativo di suicidio di quest'ultima: era finito il tempestoso matrimonio con Bjorn Borg, "Lola" cercava conforto nel sangue del suo sangue. A Sanremo '93 si erano esibite in duetto: "Stiamo come stiamo" venne un po' così, con la Bertè sexy e ridondante, e Mia più controllata, ma con una voce che apriva il cielo. Era, quella, la cifra del loro rapporto di amore-odio. Per il genitore, invece, Loredana ha conservato solo odio. L'ha ripetuto l'altra sera in tv: «Io ho rivisto Mimì da morta ed era piena di lividi. Secondo me era stata picchiata a sangue dal padre. Renato Zero, in buona fede, mi ha lasciata sola davanti alla bara ancora aperta di Mimì e poi mi ha dovuta portare per 6 mesi a Roma perché avevo due buchi in testa perché quando ho visto mio padre, dopo 40 anni che non lo vedevo, gliene ho dette di tutti i colori perché Mimì era piena di lividi e solo lui aveva le chiavi di casa sua...». Un'accusa già lanciata, mesi addietro, in una intervista choc: «Che ne so - gridava la Berté - magari Mimì si è fatta uno spinello, lui è entrato e l'ha massacrata. Perché è sempre stato così, un padre padrone. A mia madre la prendeva a calci in culo, le dava il veleno». Non la pensa così Adriano Aragozzini, che ebbe il merito, da direttore artistico, di riportare Mia Martini sul palco dell'Ariston dopo il lungo embargo decretatole per via di quella orrenda diceria che la voleva "jettatrice", e che spingeva colleghi e addetti ai lavori a girare con corni portafortuna o a chiedere agli organizzatori dei festival, dei tour e delle trasmissioni tv e a non invitarla. Mia ne soffriva pazzamente: «Avessi l'Aids, mi accetterebbero». Nell'89 Sandra Carraro fece ascoltare ad Aragozzini quella canzone, "Almeno tu nell'universo", e il ritorno a Sanremo fu un trionfo di pubblico e di critica, anche se la vittoria non premiò quel capolavoro. Nel '95, Adriano incontrò Mia a Linate: «Era una settimana prima della sua morte: girava in 500, mi diceva che era andata a vivere vicino all'aeroporto. Era pallida, aveva un aspetto sconvolto. Ebbi l'impressione che fosse drogata fradicia. Non aveva mai superato la fine della storia d'amore con Ivano Fossati, la solitudine la stava scavando dentro in modo irrimediabile. Mi disse: "Non ho più voglia, mi sento finita, e non solo artisticamente". Provai a rincuorarla: "Di cosa ti preoccupi? La tua voce è unica, e ogni crisi si supera". Ma lei pareva inconsolabile. Mi sussurrò: "Di crisi ne ho sopportate troppe, nella vita. Ora basta". Aveva gli occhi allucinati. Nessuno mi toglie dalla testa che si sia lasciata morire con la droga. Intenzionalmente. Come Tenco, che si sparò, ma era strafatto». La perizia legale sul corpo di "Mimì" aveva stabilito che l'infarto fatale era stato provocato da un'overdose di stupefacenti.

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