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Zeri, un eroe dimenticato

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Ècapitato, ad esempio, a Giorgio de Chirico, pienamente compreso a Parigi ma letteralmente deriso a Roma, ed è capitato a Federico Zeri, il più grande storico dell'arte italiana della seconda metà del ‘900, scomparso esattamente undici anni fa, nell'ottobre del 1998. Per le sue prodigiose doti di conoscitore è stato visiting professor a Harvard e alla Columbia University ma non è stato mai chiamato in alcuna università italiana. E non è finito qui il suo difficile rapporto col nostro Paese. Zeri, romano doc, ha trascorso trent'anni della sua vita di studioso nella villa di Mentana, costruendola ed arricchendola in piena identificazione con la propria fervida esistenza: lì c'erano le opere della sua collezione, 70.000 volumi e 500.000 fotografie d'arte (il più grande archivio privato del mondo). Nel suo testamento Zeri lasciò la casa, la fototeca, la biblioteca e la magnifica raccolta di epigrafi romane all'Università di Bologna, che aveva avuto il merito nel febbraio del 1998 di attribuirgli una laurea honoris causa, rimasta l'unico riconoscimento accademico dato in Italia al grande studioso. E se ora la sua biblioteca e il suo archivio fotografico, accessibili anche on line, hanno una bellissima sede nel convento di Santa Cristina a Bologna, la villa di Mentana, ormai svuotata di tutto, non è mai diventata quel centro di alta specializzazione storico-artistica auspicato da Zeri che non aveva certo previsto il trasloco dei libri e delle sue foto a Bologna. «Sono costretta a cercare aiuti – ci dice Anna Ottani Cavina, direttrice della Fondazione Zeri e curatrice della grande mostra "Federico Zeri, dietro l'immagine" che si è appena inaugurata nel Museo Civico Archeologico di Bologna – da tutte le parti per mantenere la Villa, con il suo personale e il giardino. Per il momento devo ammettere che questa è per noi una sconfitta, perché non siamo riusciti ad individuare un destino soddisfacente per la casa di Mentana. Abbiamo però cercato di instaurare un rapporto di collaborazione con la Regione Lazio, con l'Università di Roma, con il Comune di Mentana ma abbiamo trovato il disinteresse più assoluto. Spero che ora, avendo più energie a disposizione dopo la conclusione del processo di digitalizzazione della fototeca, potremo progettare un piano per dare alla casa di Zeri un'attività permanente. Ma sarà difficile attuarlo senza una collaborazione con le istituzioni locali». Marchiato dal destino del «nemo propheta in patria», completamente dimenticato da Mentana, dalla sua regione e dalla sua amata-odiata città di Roma, Zeri riceve però, anche se dopo ben undici anni, un pregevole omaggio lontano da casa con la sacrosanta mostra di Bologna, aperta fino al 10 gennaio e corredata da due fondamentali volumi editi da Allemandi. «Abbiamo tentato – ci dice ancora la Ottani Cavina – di restituire la complessità della figura di Zeri, intrecciando il vissuto con la sua carismatica personalità di studioso. La mostra unisce ricerca e godibilità anche per l'ampio pubblico». In qualche modo la rassegna di Bologna ha l'ambizione di condurre il visitatore all'interno dello straordinario processo conoscitivo che portava lo studioso alle sue fulminee attribuzioni, quelle che tra l'altro lo resero il consulente esclusivo dei maggiori collezionisti italiani (da Alessandro Contini Bonacossi al conte Vittorio Cini) e internazionali (da lord Spencer a Paul Getty). E così viene presentata per la prima volta al pubblico la sua inesauribile fototeca, fonte primaria delle sue scoperte spesso avventurosamente intuite da vero e proprio investigatore: non a caso Zeri era un vorace lettore di libri gialli Non meno coinvolgenti sono i dipinti e le sculture, compresi fra XIII e XVII secolo, che documentano le sue ricerche, con nomi del calibro di Pietro Cavallini, Pietro Lorenzetti, Sassetta, Pietro e Gianlorenzo Bernini. E poi c'è una selezione delle principali apparizioni televisive di Zeri, quelle in cui il grande storico dell'arte si faceva paladino veemente del nostro patrimonio artistico: come dimenticare le sue invettive contro chi, anche ai più alti livelli istituzionali, lasciava nell'abbandono la Reggia e i Giardini di Venaria Reale o Palazzo Reale, a Milano? Due sue vittorie, tra l'altro, perché dopo le sue denunce partì il recupero dei due formidabili complessi. «Oggi non c'è più nessuno come lui», conclude Anna Ottani Cavina.

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