«Se sarete quel che dovete essere, metterete il fuoco in tutta l'Italia».
Auna bella e santa tempesta di fuoco, di arte e di bellezza, che inondi il torpido Occidente, viene fatto di pensare visitando la Mostra «Il potere e la grazia. I Santi patroni d'Europa» (Palazzo Venezia, fino al gennaio 2010) che ha avuto ieri l'«imprimatur» di Monsignor Gianfranco Ravasi, del Ministro per i Beni e le attività culturali Sandro Bondi, di Paolo Bonaiuti, sottosegretario di Stato alla Presidenza del Consiglio dei Ministri, di Rossella Vodret, Soprintendente Speciale per il Patrimonio Storico, Artistico ed Etnoantropologico e per il Polo Museale della Città di Roma e di Don Alessio Giretti, curatore della Mostra. È giusto citarli tutti, e insieme, anche perché li abbiamo trovati in «corrispondenza di amorosi sensi» nella loro identificazione di un'Europa cristiana («La Cristianità o l'Europa» è il titolo di un celebre scritto di Novalis, pubblicato nell'estate del 1799) da recuperare, non soltanto a livello di mera testimonianza, ma come proiezione civile e culturale vòlta verso il futuro. Intendiamoci - ed è quanto è venuto fuori soprattutto dall'intervento di Don Giretti - molto c'è da fare, per recuperare il senso alto di quei valori che fondarono un Occidente, per tanti versi oggi crepuscolare, immerso com'è in mille incertezze, contraddizioni, timori, quasi lo slancio propositivo e creativo si fosse appannato. E tuttavia il fatto stesso che si realizzi un «percorso» del genere, che si sia riusciti a portare in Mostra, attingendo a un immenso patrimonio museale, cento opere di straordinaria bellezza - di van Eyck e di Memling, di Del Sarto, di Tiziano e di Veronese, di El Greco e di Caravaggio, di Murillo e di Tiepolo, di Mantegna e del Guercino - che ci sia questa coscienza diffusa, o quanto meno diffusa nostalgia, di un Occidente da ritrovare, è un segnale di speranza. Sei santi patroni d'Europa - Benedetto da Norcia, Cirillo e Metodio di Tessalonica, Caterina da Siena, Brigida di Svezia, Teresa Benedetta della Croce, al secolo Gertrude Stein, grande studiosa ebrea convertita al Cristianesimo e morta ad Auschwitz; sei santi che vegliano sul nostro cuore antico e sulle nostre nuove attese, e settanta santi, che invece rappresentano i singoli popoli europei, sono un fecondo paesaggio dello Spirito cui abbiamo bisogno di attingere. E sono storia viva, palpitante, che racconta il processo di evangelizzazione del nostro continente, raccontandoci persecuzioni e conversioni, pellegrinaggi e guerre, sovrani che vivono spietatamente la logica del potere ed altri che si aprono alla grazia. Perché la grazia e il potere debbono andare insieme, nella valorizzazione della comunità e della persona, e se significative ed esemplari sono le vicende che, eredi di corone ambite, le abbandonarono per una forte scelta di fede, potentemente rappresentativi sono anche le testimonianze di chi fondò il potere sulla santità, fecondando l'uno e l'altra di nuove ricchezze, come Stefano di Ungheria e Olaf di Norvegia, continuatori di una tradizione che fonde lo spirito con l'esercizio della regalità, e che addirittura risale ai Re Magi. In una sequenza di opere che sono tutte in qualche modo rivelazioni, la Mostra ci fa scoprire o riscoprire i più santi degli europei e i più europei tra i santi. Sollecitandoci alla rinnovata consapevolezza che se l'Occidente divorziasse dal Vangelo, quasi vergognandosi della sua «ricchezza», ne uscirebbe drammaticamente amputato. Coltivazione, cultura e culto, infatti, attengono alla stessa famiglia di orientamenti/significati, e costituiscono, insieme, cifre di un progetto cui dà voce e volto Gianfranco Ravasi, ricordando la celebre frase di Ersamo da Rotterdam: «Sanctissime coluit divos quisque imitatus est» e cioè «il migliore modo per imitare i santi è di imitarli». Non raccontano forse, col loro esempio, la bellezza, la grazia, il potere dello spirito e quel potere, che, in nome dello spirito, si fa servizio della comunità?