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Scaccia si dà alla poesia

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L'attore Mario Scaccia

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È una passione per il teatro che non si arrende quella di Mario Scaccia, da domani impegnato al Tordinona in «24 giorni di poesia», uno spettacolo in cui celebra la sua predilezione per Ungaretti, Montale e Quasimodo, seguito da tre brevi atti unici di Maria Luisa Spaziani, affidati ai suoi allievi Melania Fiore, Tullia Daniele e Mauro Fanoni, che affrontano in chiave satirica il femminismo e i problemi di oggi. Come mai le piace affermare che se il teatro non ci fosse stato, l'avrebbe inventato per sopravvivere? «Perché io sono un poeta, non un attore. Non scrivo versi, fatta eccezione per qualche componimento giovanile abbandonato con l'età della ragione, ma vivo i personaggi che altro non sono che sentimenti poetici. Il teatro è poesia. Chi sa cogliere la poesia nella vita di tutti i giorni è un poeta. In teatro si fornisce un invito alla poesia rivolto a tutti. Non posso più recitare ruoli complessi in quanto ho bisogno del bastone e allora mi esibisco nella dizione di versi. Mi hanno messo su un palcoscenico a tre anni, a sei avevo piccole parti, poi ho lavorato con le filodrammatiche e durante la guerra con gli ufficiali in Africa. Dopo l'Accademia, ho sempre recitato tutte le sere e non conosco alternative». Le mancano i suoi personaggi? «No, ne ho interpretati tanti e mi fanno ancora compagnia». Quali proposte dedicherà al suo pubblico romano?  «Si parla sempre di Dante e invece ho preferito il Novecento. Ungaretti, Montale e Quasimodo avranno otto giorni riservati per ciascuno. Il primo ha uno spasimo d'assoluto proprio della grande poesia, il secondo ha amato tutto quello che c'è sulla terra, spaziando dalla vita alla morte, dalle donne al paesaggio, e il terzo ha saputo cantare l'ultima Guerra mondiale con la devastazione, le crudeltà, le vendette e i campi di sterminio». C'è un segreto per vivere bene? «Bisogna avere molta serenità. Ho superato tante prove. Attualmente vivo con mia sorella, malata di Alzheimer, e mi dedico al teatro che è da sempre la mia salvezza. Mi ricordo quando, in guerra, nella notte, recitavo con Sereni i versi di Montale e "Diario di Algeria". Non ho rimpianti: ho vissuto!».

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