Lidice, il villaggio dei dannati

LIDICE - Un ciliegio e un pero sono gli unici muti testimoni dei giorni del sangue e delle lacrime. Due alberi, allora poco più che ramoscelli e oggi grondanti frutti che nessuno raccoglie, scamparono chissà perché e chissà come alla furia nazista che si abbattè su persone e cose del villaggio di Lidice, a neppure mezz'ora da Praga, in quello che era il Protettorato di Boemia e Moravia. Lidice doveva essere cancellata dalla faccia della terra, tutti i maschi di oltre 16 anni uccisi, tutte le donne deportate nei lager, e così i loro bambini, ma solo dopo averli separati dalle madri: era la rappresaglia feroce, su ordine di Hitler, per l'uccisione di Reinhard Heydrich, il Reichsprotektor, che dietro al viso angelico e alla sensibilità di un raffinato musicista, celava l'anima nera del nazismo, l'artefice della Conferenza di Wannsee e dello sterminio degli ebrei. Proprio per questa sua duplice natura era stata battezzata "Anthropoid" l'operazione ideata a Londra e finalizzata alla sua eliminazione. Un gruppo di patrioti cecoslovacchi addestrato dai servizi speciali britannici si era fatto paracadutare in patria, aveva studiato le abitudini di Heydrich, compresa quella di girare sempre con una Mercedes scoperta in segno di potere e di sfida, e l'aveva attaccato durante a colpi di mitra e di granata. Era il 27 maggio 1942; il 4 giugno il "boia di Praga" spirava in ospedale per le ferite riportate (i medici tedeschi per curare le infezioni avevano voluto usare gli autarchici sulfamidici invece della penicillina di Fleming). I patrioti cecoslovacchi, traditi da uno dei paracadutisti, Karel Curda, erano stati circondati e assediati nel loro rifugio della chiesa ortodossa di Cirillo e Metodio, sulla riva destra della Moldava praghese, a Nové Mesto. Per cinque ore si erano battuti contro centinaia di SS e quando stavano per inondare la cripta per affogarli, avevano sparato tutti i colpi tranne uno, col quale si erano suicidati, lasciando ai tedeschi solo sette cadaveri: Adolf Opálka, Jan Kubis, Jozef Gabcik, Josef Valcík, Jaroslav Svarc, Josef Bublik, Jan Hruby. Era il 18 giugno. Ancora oggi dentro e fuori la chiesa di via Resslova sono visibili i segni di quella battaglia disperata. La rabbia nazista si era già scatenata con la sua sete di sangue. I plotoni di esecuzione e le migliaia di vittime tra la resistenza e tra innocenti non avevano placato la sete di vendetta di Hitler. La mattina del 10 giugno 1942 la tranquilla Lidice, che sorgeva in una vallata che si specchiava in un laghetto, era stata chiusa in una morsa da SD, poliziotti e soldati della Wehrmacht. Si sospettava che avesse offerto aiuto e assistenza ai patrioti ed era bastato per segnarne la condanna. Gli uomini erano stati separati dalle donne, ammassati nei pressi della fattoria Horák e fucilati a gruppi di cinque: due militari dovevano tirare al petto, uno alla testa. Ma poiché il ritmo era troppo lento, se ne giustiziarono dieci alla volta. Rimasero sull'erba inzuppata di sangue in 173. I 19 scampati casualmente, poi identificati come abitanti di Lidice, furono passati per le armi il 16 giugno a Kobylisy, e così 7 donne. Le altre 196 vennero deportate a Ravensbrück. Di esse 143 riusciranno a sopravvivere agli stenti e alle selezioni per le camere a gas. Il villaggio venne bruciato e poi fatto saltare per aria; tutti gli alberi furono sradicati; fu fatto scempio persino dei cadaveri dissepolti dal cimitero da una squadra speciale. Non doveva rimanere nulla di Lidice, mentre il mondo fremeva di indignazione all'annuncio tronfio della propaganda nazista alla radio. Per non dimenticare, alcune località americane aggiunsero quella parola, Lidice, al proprio toponimo e furono girati instant movies. Nove bambini, ritenuti idonei all'arianizzazione, vennero affidati a famiglie tedesche. Altri 98 furono deportati e molti di essi gassati a Chelmno. Li ricorda dal 1990 una grande scultura in bronzo di Marie Uchytilová con 42 ragazze e 40 ragazzi da uno a 16 anni, ai piedi della quale i bimbi cechi lasciano oggi pupazzi di peluche e accendono candeline. Alla fine della guerra quelli "germanizzati" non parlavano e non capivano più il ceco: una bimba comunicava con la madre malata attraverso un'interprete. Ci vollero anni per ricucire le radici. Lidice è stata ricostruita, ma più in là. Un piccolo ma pregevole memorial diretto da Milous Cervencl, dov'è conservato anche il portale della chiesa di San Martino scampato alle fiamme, schiude la prospettiva sul villaggio che non c'è più in un paesaggio idilliaco dove la fragranza di 20 mila rose non riesce ad assorbire il senso di angoscia. Nella nuova Lidice esiste una via dedicata a Marzabotto, e una via Lidice sorge a Marzabotto. Un gemellaggio nel dolore dal 1962.