Caravaggio-Bacon s'incontrano gli opposti
«Che cosa si prova, Maestro, a essere considerato il più grande pittore contemporaneo?». «Niente di particolare, anche perché non c'è molta competizione in giro». Ecco la risposta fulminante che Francis Bacon, giunto al culmine della fama, diede al suo biografo e amico Michael Peppiatt. E così, non avendo termini di confronto fra i suoi contemporanei, chissà che cosa avrebbe pensato il geniale pittore inglese nel vedere accostate le proprie opere a quelle di uno dei massimi artisti di tutti i tempi, Michelangelo Merisi detto il Caravaggio. È proprio quel che accade nella mostra coraggiosa che da oggi al 24 gennaio viene presentata alla Galleria Borghese e curata da Anna Coliva e Michael Peppiatt. Si avviano così, con un confronto quanto mai originale, le celebrazioni del 2010 per il IV centenario della morte di Caravaggio che si intrecciano a quelle in via di conclusione per il centenario della nascita (1909) di Bacon. E del resto la mostra è tutto un intreccio di suggestioni, di enigmi, ma soprattutto di imprevedibili rispecchiamenti, di illuminanti dialoghi fra artisti divisi da parecchi secoli eppur vicinissimi. In realtà, sia Caravaggio che Bacon più che tra loro colloquiano con gli altri straordinari capolavori (da Correggio a Bernini) che popolano la Galleria Borghese mantenendo sempre altissima l'intensità visiva ed emotiva offerta al visitatore. E così le tredici opere di Caravaggio (alle sei di proprietà della Borghese se ne affiancano altre strepitose, dalla «Negazione di Pietro» del Metropolitan di New York alla «Resurrezione di Lazzaro» dal Museo Regionale di Messina) e le diciassette di Bacon si inseguono e si confrontano in tutto il museo, invitandoci a una meravigliosa caccia al tesoro che riserva continue sorprese. Appena varcata l'entrata si è nel bel mezzo di una linea ideale che unisce da un lato la «Maddalena Penitente» di Caravaggio e da quello opposto lo sconvolgente «Studio per ritratto, luglio 1971» di Bacon. E poi l'«Autoritratto come Bacco» e il «Ragazzo con canestro di frutta» dell'inquieto seicentesco si affiancano alla fortissima ed allucinante «Testa VI» di Bacon, ispirata al «Ritratto di Innocenzo X» di Velàzquez. Entrambi gli artisti, pur appartenendo a epoche così lontane che li rendono incomparabili, si immergono senza mezze misure nel mistero tragico dell'uomo attraverso il suo corpo e la sua carnalità, scendono nel buio più profondo ma non sembrano trovare alcuna luce consolatoria. Ha ragione allora Maurizio Calvesi nel dire che «Bacon non ha nulla di Caravaggio, non si è ispirato a Caravaggio, però se c'è un artista del nostro tempo che può essere equiparato a Caravaggio è proprio lui. In qualche modo sono accomunati da un certo travaglio, da un intenso realismo che con Bacon poi diventa esasperato». E se le opere del Merisi nella Galleria Borghese sono di casa da sempre, quelle di Bacon vi si inseriscono sorprendentemente bene con la loro forza deflagrante portandovi tutta l'ansia irrequieta del XX secolo. Gli spessi vetri che il grande inglese volle sui suoi quadri per creare un diaframma fra l'opera e lo spettatore e per rispecchiare l'ambiente circostante, ora si animano di infiniti riflessi, assorbendo dentro di sé i capolavori esposti nel museo ma anche gli sguardi sorpresi e attoniti dei visitatori.