Pittura imperiale, l'antica Roma a colori
ROMA - «Il latino è la lingua del marmo», diceva Jorge Luis Borges. E l'arte di Roma è per noi nitore marmoreo, forma scolpita, valore plastico. Lo splendore del bianco, forgiato da mani che dalla pietra traggono fuori bellezza e forza. Luminosità intensa, ma monocromatica. E invece la Mostra «La pittura di un Impero», che le Scuderie del Quirinale ospiteranno dal 24 settembre al 17 gennaio 2010, nell'allestimento di Luca Ronconi e Margherita Palli, ci rivela la qualità di un altro e inatteso linguaggio espressivo. Quello pittorico, appunto, in una festa di colori. Cento pezzi che arrivano dai più importanti siti archeologici e musei del mondo: dal Louvre al British Museum, dagli Scavi di Pompei ai Musei Vaticani. Cento opere in esposizione per ricostruire la complessità e la vivacità di una scuola figurativa straordinariamente attuale, per raccontare una civiltà lungo un arco di tempo che va dal I secolo a.C. al V secolo d.C. Il colore di Roma, appunto. Della romanità tutta. Che non parla solo a Pompei e a Ercolano. E che ci conduce, attraverso Domiziano, Traiano, Adriano, Marco Aurelio, alle soglie del tardo-antico, sino a Costantino e Teodosio. L'ethos e l'eros. La natura e la cultura. Il dinamico, variopinto flusso dell'esistente. Le immagini, l'immaginario di un tempo perduto. E ritrovato grazie all'impegno di un curatore/cercatore come Eugenio La Rocca, assistito da Serena Ensoli, Stefano Tortorella e Massimiliano Papini. Tempo ritrovato, dicevamo, e sorprendentemente, perché questo universo colorato che ci conquista lo sguardo evidenzia una innegabile linea di continuità con la cultura figurativa moderna, a partire dal Rinascimento. Invenzioni, creazioni che balzano dall'antichità classica, a mo' di sigilli augurali e poi di contrassegni ereditari. Impressi dappertutto: nei grandi affreschi, nei ritratti su legno e su vetro, nelle decorazioni, nei fregi. Da dove vengono? Dalle «domus» patrizie, dalle abitazioni e dalle botteghe popolari. Tutto è di alto livello qualitativo e testimonia una capacità inventiva e una tecnica che si fondano sull'osservazione «ottica» del vero e che riescono a restituire con efficacia volti e ambienti, liberando la realtà in rapidi e suggestivi tocchi di colore e in potenti impressioni soggettive. Intuizioni estetiche, queste, che troveranno ampia applicazione dal Cinquecento all'Ottocento. E che qui si distribuiscono nei più vari scenari, nelle più variegate rappresentazioni: scenografie parietali, paesaggi bucolici, vedute di ville, di santuari, di giardini dove compaiono figurine che, come è stato scritto, ricordano i presepi napoletani. E poi ci sono le scene che raccontano la vita di tutti i giorni, le nature morte, le immagini erotiche, i «percorsi» nel mito e nel rito, con le storie «esemplari» di Amore e Psiche, Polifemo e Galatea, Ercole e Telefo, Perseo e Andromeda. Ampio spazio è infine offerto alla ritrattistica ad affresco, a mosaico e su vetro. Volti e occhi che parlano. Nel «silenzio» dei loro autori, tutti ignoti.